L'Orange è un fiume che attraversa quasi tutto il Sudafrica. Nasce a circa 200 Km. a est di Johannesburg e finisce la sua corsa nell'Atlantico presso Alexander Bay. A sud di Kimberley, la città dei diamanti, riceve l'affluente Vaal proveniente dal Lesotho, uno degli stati neri indipendenti che si trovano all'interno del territorio Sudafricano. Un po' come San Marino in Italia. Lo Swaziland, che si trova a est della regione del Natal è il secondo stato nero indipendente inglobato nel territorio del Sudafrica. Per un lungo tratto l'Orange corre lungo il confine tra il Sudafrica e la Namibia, al limite del deserto del Kalahari, enorme distesa sabbiosa su di un altopiano la cui altezza media è di 900 mt., che tocca i territori del Sudafrica, Namibia, Botswana, Zimbabwe.
Il fiume Orange dava il nome allo stato più tradizionalista, razzista, boero di tutto il Sudafrica: l'Orange Free State.
Qui la popolazione è in maggioranza boera; gli abitanti di origine inglese in questo stato sono pochi. I boeri, una popolazione di origine olandese principalmente, ma anche tedesca e belga, sono i discendeti diretti di quei bianchi calvinisti che per primi sbarcarono sulle coste sudafricane nel 1600. Questi, su mandato dell'allora governo olandese, colonizzarono la costa sud del Sudafrica intorno al Capo di Buona Speranza (che gli inglesi chiamano Cape of Good Hope), e crearono delle basi di appoggio per le navi commerciali della Compagnia Olandese delle Indie.
Il collegamento in Ponte Radio per la ESCOM, la locale società di produzione e distribuzione di energia elettrica, la cui realizzazione, accettazione del cliente e messa in servizio ricadeva sotto la mia responsabilità, si trovava in buona parte nel territorio Dell'Orange Free State. Con inizio a De Aar, una cittadina del profondo ovest-sudovest quasi confinante con la Cape Provence, risalendo poi fino a Johannesburg nel Transvaal, attraversa tutto l'Orange Free State in diagonale costeggiando il fiume Orange, per una lunghezza di quasi 1000 km.
E così dopo circa un mese dal mio arrivo in Sudafraica, partii per De Aar con un furgone Volswagen Combi carico di strumentazione di misura elettronica. Dopo due giorni di viaggio in mezzo alla savana lungo una strada infinita, dritta come un tiro di fucile, ovviamente guidando a sinistra, arrivai a De Aar che mi accolse con una bella multa appena superai il cartello che indicava l'inizio del centro abitato. All'improvviso un poliziotto sbucò da dietro una siepe e mi fece segno di fermare e accostare. Io, che non me l'aspettavo, sobbalzai sul sedile e mi fermai appena prima di investirlo. Mi disse in Afrikans (la lingua dei boeri, una specie di olandese del 1600, che, insieme all'inglese, era la lingua ufficiale del Sudafrica)che avevo superato il limite di velocità. Io gli risposi in inglese che non capivo e lui mi invitò a scendere dalla macchina. Lo seguii fino a dietro il cespuglio dove c'era una macchinetta con un display che indicava circa 64 Km.; era la velicità a cui io andavo, rilevata dal telelaser, in un tratto il cui limite era di 50 km,/h. Indicandomi il display, con faccia truce mi apostrofò: "now do you understand?" Si, purtroppo avevo capito. Mi fece il verbale e mi invitò a presentarmi il mattino successivo dal giudice. Praticamente la legge locale prevedeva per il mancato rispetto dei limiti di velocità una specie di processo istruttorio nel corso del quale un giudice decideva se e come procedere. Dopo quasi 30 anni quelle terribili macchinette sarebbero arrivate anche da noi.
Buon giorno De Aar!! bella accoglienza!!! Fu il mio primo incontro con la durissima polizia locale. Scoprii più tardi che quella durezza nel fare rispettare le regole era bilanciata da altrettanta fermezza da parte della gente nel pretendere dai tutori dell'ordine il rispetto dei diritti personali.Dei bianchi però.
giovedì 6 maggio 2010
SUD AFRICA - Lungo l'Orange
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martedì 4 maggio 2010
SUD AFRICA - Immagini di Johannesburg
Non è facile descrivere una città come Johannesburg o almeno com'era quando io la conobbi. Si può dire che era una metropoli moderna più vicina alle grandi città americane che a quelle europee. Si può dire che era bella, pulita, ordinata, quasi perfetta. Si può dire che socialmente rappresentava un controsenso perchè era la principale città del paese più razzista e segregazionista al mondo, ma nello stesso tempo era una delle città più multirazziali al mondo. In essa in qualche modo si incrociavano boeri, primi abitanti bianchi del Sud Africa originari dell'Olanda; inglesi eredi del periodo coloniale; tanti italiani, tantissimi portoghesi, tantissimi indiani, cinesi, greci ecc. Ovviamente c'erano poi i neri, gli unici veri africani, anche loro però appartenenti a varie tribù e provenienti da vari paesi vicini. Si perchè sebbene i neri in Sud Africa fossero segregati, c'era comunque molta immigrazione dai paesi vicini come Botswana, Namibia, Rodesia, spesso clandestina, perchè qui trovavano lavoro nelle città come Johannesburg, oppure nelle farms dove venivano trattati quasi da schiavi. Però lavoravano e mangiavano.
Si può dire che in fondo anche i bianchi vivevano divisi per paese di provenienza: gli inglesi vivevano con gli inglesi da inglesi; i boeri vivevano con i boeri; gli italiani con gli italiani ecc. C'erano quindi i clubs inglesi, quelli italiani, quelli portoghesi .
Si può poi dire che il centro della città era scarsamente abitato. Gli enormi grattacieli erano quasi tutti occupati da uffici, azien. Oppure erano hotels oppure erano residences dove vivevano quegli stranieri che, come me, si trattenevano un po' più a lungo e quindi affittavano un flat. Il centro città era quindi dedicato al business. Il fine settimana de, banche rimaneva spopolato. La gente, i bianchi ovviamente, abitava fuori, nei centri residenziali composti da ville più o meno grandi, più o meno ricche, ma tutte immerse nel verde e nella tranquillità.
Ecco si può dire tutto questo e molto altro. Ma questa sarebbe la descrizione di una città anonima, uguale a tante altre, senza un'anima. Joahannesburg era invece tutt'altro perchè era una città che dava emozioni, il cui ricordo da un senso di struggimento difficile da descrivere, un misto di gioia e di felicità contemporaneamente ad un senso di tristezza, di vuoto, di crampo che prende allo stomaco. Ancora oggi, dopo tanti anni, quando sento parlare di johannesburg o ne vedo delle immagini, provo questa senzazione.
Allora non vedo più i grattacieli, le ville, i clubs privati, no!
Allora mi vedo a passeggio lungo una via del centro quasi deserta perchè è domenica; ai lati della via si allineano grandi alberi di Jacaranda fioriti perchè è primavera. Il colore azzurro dei fiori illumina un cielo ancora scuro per i nuvoloni che hanno da poco terminato di scaricare il loro pieno di acqua e che ora cominciano a lasciare il posto all'azzurro del cielo. I caldi raggi del sole che filtrano tra gli squarci delle nuvole sembrano unire i due azzurri, quello delle Jacaranda e quello del cielo, in un unico immenso quadro. Camino su un tappeto di fiori caduti per la pioggia. A terra quelli delle Jacaranda si uniscono ai fiori rossi delle bougainville che a cespugli ornano i muri. Nell'aria un profumo di fiori e di arida terra che bagnata emette un odore pungente; un profumo di fresco.
Oppure mi vedo un mattino di un giorno qualunque della settimana a passeggio per Pretoria street, la strada dello shopping. Il traffico intenso e ordinato nei due sensi, negozi di tutti i tipi, soprattutto di materiale fotografico quasi tutto proveniente dal Giappone, oppure materiale elettronico, ma anche abbigliamento, scarpe, supermercati . Sui marciapiedi donne nere, belle e ben vestite nei loro abiti tipici, spandevano tutta la loro mercanzia di artigianato locale (orecchini, anellini, braccialetti, statuette in legno, oggetti in onice, in giada ecc.). Oggi questo si vede anche da noi nei mercatini, è diventato quasi normale, ma 30 anni fa per noi erano novità assolute ed erano immagini tipiche che solo in Africa si potevano vedere.
Ma Johannesburg è anche un tramonto visto da un piano alto di un grattacielo. Un discendere lento di un sole che dipinge il cielo di mille tonalità di rosso e, una volta scomparso dietro l'orizzonte, lo lascia ancora illuminato di una fioca luce azzurrina che ti accompagna tutta la notte subtropicale in attesa che rispunti la mattina dopo splendente e caldo.
Si può dire che in fondo anche i bianchi vivevano divisi per paese di provenienza: gli inglesi vivevano con gli inglesi da inglesi; i boeri vivevano con i boeri; gli italiani con gli italiani ecc. C'erano quindi i clubs inglesi, quelli italiani, quelli portoghesi .
Si può poi dire che il centro della città era scarsamente abitato. Gli enormi grattacieli erano quasi tutti occupati da uffici, azien. Oppure erano hotels oppure erano residences dove vivevano quegli stranieri che, come me, si trattenevano un po' più a lungo e quindi affittavano un flat. Il centro città era quindi dedicato al business. Il fine settimana de, banche rimaneva spopolato. La gente, i bianchi ovviamente, abitava fuori, nei centri residenziali composti da ville più o meno grandi, più o meno ricche, ma tutte immerse nel verde e nella tranquillità.
Ecco si può dire tutto questo e molto altro. Ma questa sarebbe la descrizione di una città anonima, uguale a tante altre, senza un'anima. Joahannesburg era invece tutt'altro perchè era una città che dava emozioni, il cui ricordo da un senso di struggimento difficile da descrivere, un misto di gioia e di felicità contemporaneamente ad un senso di tristezza, di vuoto, di crampo che prende allo stomaco. Ancora oggi, dopo tanti anni, quando sento parlare di johannesburg o ne vedo delle immagini, provo questa senzazione.
Allora non vedo più i grattacieli, le ville, i clubs privati, no!
Allora mi vedo a passeggio lungo una via del centro quasi deserta perchè è domenica; ai lati della via si allineano grandi alberi di Jacaranda fioriti perchè è primavera. Il colore azzurro dei fiori illumina un cielo ancora scuro per i nuvoloni che hanno da poco terminato di scaricare il loro pieno di acqua e che ora cominciano a lasciare il posto all'azzurro del cielo. I caldi raggi del sole che filtrano tra gli squarci delle nuvole sembrano unire i due azzurri, quello delle Jacaranda e quello del cielo, in un unico immenso quadro. Camino su un tappeto di fiori caduti per la pioggia. A terra quelli delle Jacaranda si uniscono ai fiori rossi delle bougainville che a cespugli ornano i muri. Nell'aria un profumo di fiori e di arida terra che bagnata emette un odore pungente; un profumo di fresco.
Oppure mi vedo un mattino di un giorno qualunque della settimana a passeggio per Pretoria street, la strada dello shopping. Il traffico intenso e ordinato nei due sensi, negozi di tutti i tipi, soprattutto di materiale fotografico quasi tutto proveniente dal Giappone, oppure materiale elettronico, ma anche abbigliamento, scarpe, supermercati . Sui marciapiedi donne nere, belle e ben vestite nei loro abiti tipici, spandevano tutta la loro mercanzia di artigianato locale (orecchini, anellini, braccialetti, statuette in legno, oggetti in onice, in giada ecc.). Oggi questo si vede anche da noi nei mercatini, è diventato quasi normale, ma 30 anni fa per noi erano novità assolute ed erano immagini tipiche che solo in Africa si potevano vedere.
Ma Johannesburg è anche un tramonto visto da un piano alto di un grattacielo. Un discendere lento di un sole che dipinge il cielo di mille tonalità di rosso e, una volta scomparso dietro l'orizzonte, lo lascia ancora illuminato di una fioca luce azzurrina che ti accompagna tutta la notte subtropicale in attesa che rispunti la mattina dopo splendente e caldo.
domenica 2 maggio 2010
SUD AFRICA - Un lontano mondo da scoprire
Erano tre anni che lavoravo con quella importante azienda italiana di telecomunicazioni e avevo già partecipato alla realizzazione di grandi sistemi di telecomunicazioni in ponti radio sia in Italia che all'estero. Avevo girato tutta l'Italia da nord a sud isole comprese per realizzare sistemi per la RAI, L'Azienda dei telefoni di Stato, la SNAM ecc. Ero stato cinque mesi in Yugoslavia tra Macedonia e Slovenia. Avevo lavorato, avevo conosciuto tante persone di lingua e cultura diverse, avevo visitato località bellissime e piene di fascino e mi ero divertito moltissimo. In quei tre anni avevo capito che quella era la mia vita e quello era il mio lavoro, un lavoro che mi permetteva di viaggiare e di conoscere mondi che altrimenti non avrei mai avuto modo di conoscere. Certo aveva i suoi risvolti negativi, ad esempio lasciare sempre a casa la mia giovane e bellissima fidanzata; ogni volta che dovevo partire mi piangeva il cuore lasciarla. Quando ero in Italia, i fine settimana tornavo a casa da qualsiasi località per stare con lei. Quando ero all'estero questo non era ovviamente possibile. Per contratto i periodi minimi di permanenza continua erano di quattro mesi nei paesi Europei e sei mesi in quelli extra Europei. La lontananza era difficile e a volte poteva anche capitare che i ricordi si sfuocassero un po'.
Fu per questo che in quel settembre dei 1975 al rientro dalle ferie, quando mi proposero di partire per il Sud Africa con una permanenza di 8 mesi minimo con partenza a gennaio, la prima cosa che feci fu di chiamare la mia fidanzata e di proporgli di sposarci.
Ci sposammo a dicembre dello stesso anno. La partenza per il Sud Africa fu rinviata di alcuni mesi e, nel frattempo, girammo per lavoro tutto il sud Italia e la Sardegna.
A Settembre del 1976, dopo aver ottenuto il visto di residenza per lavoro e fatto le necessarie vaccinazioni, partimmo per Johannesburg.
Da Milano Linate ci recammo a Parigi aeroporto Charles De Gaulle, dove prendemmo un volo UTA diretto in Sud Africa. Dopo circa 10 ore di volo il DC10 della UTA atterrò all'aeroporto Jan Smuts di Johannesburg. Oggi questo aeroporto non ha più questo nome in quanto è stato cambiato in O.R. Tambo international airport.
L'aeroporto era molto grande, moderno ordinato e pulitissimo. Nulla faceva pensare che fossimo in Africa o perlomeno all'immagine che noi abbiamo dell'Africa. Infatti fu subito evidente che il Sud Africa, da un punto di vista organizzativo, della pulizia, dell'ordine, assomigliava più ad un paese europeo, anzi agli USA, che ad un paese africano. Solo la presenza di tanti neri ti ricordava di essere in Africa.
La giornata era bellisssima, piena di sole, calda e senza umidità. Era settembre, quindi nell'emisfero Australe era l'inizio della primavera. In più Johannesburg si trova a 1800 mt. slm e a circa 27° di latitudine sud, quindi circa 3° di latitudine sotto il Tropico del Capricorno. Il clima è quindi di tipo tropicale con il vantaggio dell'altitudine che lo rende asciutto.
Ad accoglierci trovammo un'auto dell'azienda che ci accompagnò in città distante circa 20 km. dall'aeroporto. Lungo il percorso incontrammo una moltitudine di operai neri addetti alla manutenzione delle strade, degli spazi verdi, dell'illuminazione pubblica; tutto era perfetto. La campagna era abbastanza arida e la vegetazione tipica della savana africana. Ad un certo punto iniziò a scorgersi la città che man mano che ci avvicinavamo mostrava sempre di più il suo splendore di metropoli moderna. La sua skyline era tipica di una città nordamericana, piena di grattacieli; in tutto e per tutto una piccola New York. Intorno alla città si incrociavano strade larghe e modernissime, sulle quali scorrevano file di auto che tenevano la mano sinistra. E già, in Sud Africa, paese ex colonia inglese, si guida a sinistra. Dovevo abituarmi a quel tipo di guida. In città il traffico era notevole, ma ordinato e scorrevole; si capì subito che tutti rispettavano le regole del codice della strada e ciò significava che la polizia era molto rigida. In quel momento non lo sapevo, ma dopo qualche settimana me ne sarei reso conto personalmente.
L'autista ci accompagnò al nostro albergo in centro e finalmente potemmo iniziare il nostro primo giorno in Africa con una bella doccia e un po' di riposo dopo un viaggio tanto lungo. Riposammo solo un po' però perchè la curiosità di cominciare a guardarci intorno era talmente grande che dopo poco più di un'ora eravamo in strada iniziando a scoprire la città.
Fu per questo che in quel settembre dei 1975 al rientro dalle ferie, quando mi proposero di partire per il Sud Africa con una permanenza di 8 mesi minimo con partenza a gennaio, la prima cosa che feci fu di chiamare la mia fidanzata e di proporgli di sposarci.
Ci sposammo a dicembre dello stesso anno. La partenza per il Sud Africa fu rinviata di alcuni mesi e, nel frattempo, girammo per lavoro tutto il sud Italia e la Sardegna.
A Settembre del 1976, dopo aver ottenuto il visto di residenza per lavoro e fatto le necessarie vaccinazioni, partimmo per Johannesburg.
Da Milano Linate ci recammo a Parigi aeroporto Charles De Gaulle, dove prendemmo un volo UTA diretto in Sud Africa. Dopo circa 10 ore di volo il DC10 della UTA atterrò all'aeroporto Jan Smuts di Johannesburg. Oggi questo aeroporto non ha più questo nome in quanto è stato cambiato in O.R. Tambo international airport.
L'aeroporto era molto grande, moderno ordinato e pulitissimo. Nulla faceva pensare che fossimo in Africa o perlomeno all'immagine che noi abbiamo dell'Africa. Infatti fu subito evidente che il Sud Africa, da un punto di vista organizzativo, della pulizia, dell'ordine, assomigliava più ad un paese europeo, anzi agli USA, che ad un paese africano. Solo la presenza di tanti neri ti ricordava di essere in Africa.
La giornata era bellisssima, piena di sole, calda e senza umidità. Era settembre, quindi nell'emisfero Australe era l'inizio della primavera. In più Johannesburg si trova a 1800 mt. slm e a circa 27° di latitudine sud, quindi circa 3° di latitudine sotto il Tropico del Capricorno. Il clima è quindi di tipo tropicale con il vantaggio dell'altitudine che lo rende asciutto.
Ad accoglierci trovammo un'auto dell'azienda che ci accompagnò in città distante circa 20 km. dall'aeroporto. Lungo il percorso incontrammo una moltitudine di operai neri addetti alla manutenzione delle strade, degli spazi verdi, dell'illuminazione pubblica; tutto era perfetto. La campagna era abbastanza arida e la vegetazione tipica della savana africana. Ad un certo punto iniziò a scorgersi la città che man mano che ci avvicinavamo mostrava sempre di più il suo splendore di metropoli moderna. La sua skyline era tipica di una città nordamericana, piena di grattacieli; in tutto e per tutto una piccola New York. Intorno alla città si incrociavano strade larghe e modernissime, sulle quali scorrevano file di auto che tenevano la mano sinistra. E già, in Sud Africa, paese ex colonia inglese, si guida a sinistra. Dovevo abituarmi a quel tipo di guida. In città il traffico era notevole, ma ordinato e scorrevole; si capì subito che tutti rispettavano le regole del codice della strada e ciò significava che la polizia era molto rigida. In quel momento non lo sapevo, ma dopo qualche settimana me ne sarei reso conto personalmente.
L'autista ci accompagnò al nostro albergo in centro e finalmente potemmo iniziare il nostro primo giorno in Africa con una bella doccia e un po' di riposo dopo un viaggio tanto lungo. Riposammo solo un po' però perchè la curiosità di cominciare a guardarci intorno era talmente grande che dopo poco più di un'ora eravamo in strada iniziando a scoprire la città.
sabato 1 maggio 2010
SUD AFRICA - Apartheid seconda parte
Ma....cos'era esattamente l'apartheid!? L'apartheid divideva il popolo sudafricano in classi sociali, o meglio in razze, basate sul colore della pelle; solo ed esclusivamente sul colore della pelle. Ovviamente nel primo gradino c'erano i bianchi e nell'ultimo i negri. Tra le diverse razze era vietata qualsiasi mescolanza; gli unici contatti potevano essere di lavoro. Non erano assolutamente ammessi matrimoni interrazziali o semplici rapporti amorosi o sessuali.Qualcuno dirà che anche nei nostri paesi occidentali democratici è molto difficile che un rampollo dell'alta società, della ricca borghesia, sposi il figlio o la figlia di un operaio. Si questo è anche vero, è molto difficile che ciò avvenga, ma non è impossibile e, soprattutto è un fatto di scelta, di convenienza, di opportunità. In Sud Africa sotto l'apartheid questo era vietato per legge; un/a bianco/a e un/a nero/a se solo camminavano per strada mano nella mano commettevano un reato; e così era per le altre razze. In pratica era vietato per legge, quindi era un reato e anche grave, l'amore tra appartenenti a razze diverse. Oggi in Sud Africa non è più così, mentre noi in Italia abbiamo ideato il reato di clandestinità. Cioè persone che scappano dai loro paesi in guerra o per fame e miseria e vengono in Italia, sono, solo per questo, considerati delinquenti.
Ma chiudiamo questa breve parentesi e torniamo all'apartheid in Sud Africa. Che effetto aveva nella vita di tutti i giorni, nella routine quotidiana?
Nelle città come Johannesburg ai negri era vietato entrare nei normali negozi o supermercati, nei ristoranti o nei bar ecc. In questi luoghi potevano entrare solo se erano commessi o camerieri ecc. Però, chissà perchè, ai neri era permesso entrare nei negozi preposti alla vendita di alcolici, vino incluso. Questi negozi avevano però due porte: su una c'era scritto "white only" e sull'altra "black only". Una volta dentro il bancone era diviso in due separato da una specie di cancello: da un lato i bianchi dall'altro i negri. A servire i bianchi poteva esserci un commesso bianco o nero; a servire i neri il commessso poteva essere solo nero.
Sono entrato una volta nella stazione ferroviaria di Johannesburg e sono arrivato fino alla banchina del primo binario. Ricordo che era lunghissima e con tante panchine equamente distanziate. Mi dirigo casualmente verso un lato; ad un certo punto mi acccorgo che in terra c'era disegnata una linea con una freccia verso destra e una verso sinistra. Su di una c'era scritto "white only" e sull'altra "black only". Inavvertitamente io ero nella parte riservata ai neri perchè senza accorgemene ero entrato da una porta per neri. Gli autobus erano differenziati; c'erano quelli per soli bianchi belli e moderni, c'erano quelli per soli neri brutti e cadenti. Tutti gli altri, i coloured stavano nel mezzo e per certi versi in una specie di limbo. In ogni caso era vietata la mescolanza razziale. I takes away lungo le strade ad esempio erano gestiti da indiani, le friggitorie da portoghesi.
Quello che segue è un bruttissimo caso che è capitato a me. Nell'ufficio dell'azienda italiana per cui lavoravo a Johannesburg, c'erano anche ragazzi neri che quindi per noi erano colleghi. Loro ovviamente facevano i lavori più umili tipo fare il caffè, servizi di facchinaggio, autisti ecc. Un giorno sono dovuto partire per una località lontana con uno di questi ragazzi, più o meno mio coetaneo. Lui doveva accompagnarmi con un pulmino carico di strumenti elettronici fino a destino, lasciarmi là dove io avrei trovato un'altra auto e poi riportare il pulmino indietro.
il viaggio è durato due giorni e quindi la sera ci siamo fermati in una località lungo la strada per dormire. Io sono sceso e sono andato a chiedere alla recepcion del motel la disponibilità di due camere. Mi sono sentito dire che la camera per me c'era, ma il mio compagno nero non poteva entrare perchè era assolutamente vietato dalla legge. La stessa cosa al ristorante per mangiare. Non era proprio previsto che i neri viaggiassero e avessero necessità di un albergo. Con imbarazzo, anzi vergogna, gli ho dovuto prendere qualcosa da mangiare e glielo ho portato in macchina, dove lui ha anche dovuto dormire.
Ecco questa era l'apartheid.
Ma chiudiamo questa breve parentesi e torniamo all'apartheid in Sud Africa. Che effetto aveva nella vita di tutti i giorni, nella routine quotidiana?
Nelle città come Johannesburg ai negri era vietato entrare nei normali negozi o supermercati, nei ristoranti o nei bar ecc. In questi luoghi potevano entrare solo se erano commessi o camerieri ecc. Però, chissà perchè, ai neri era permesso entrare nei negozi preposti alla vendita di alcolici, vino incluso. Questi negozi avevano però due porte: su una c'era scritto "white only" e sull'altra "black only". Una volta dentro il bancone era diviso in due separato da una specie di cancello: da un lato i bianchi dall'altro i negri. A servire i bianchi poteva esserci un commesso bianco o nero; a servire i neri il commessso poteva essere solo nero.
Sono entrato una volta nella stazione ferroviaria di Johannesburg e sono arrivato fino alla banchina del primo binario. Ricordo che era lunghissima e con tante panchine equamente distanziate. Mi dirigo casualmente verso un lato; ad un certo punto mi acccorgo che in terra c'era disegnata una linea con una freccia verso destra e una verso sinistra. Su di una c'era scritto "white only" e sull'altra "black only". Inavvertitamente io ero nella parte riservata ai neri perchè senza accorgemene ero entrato da una porta per neri. Gli autobus erano differenziati; c'erano quelli per soli bianchi belli e moderni, c'erano quelli per soli neri brutti e cadenti. Tutti gli altri, i coloured stavano nel mezzo e per certi versi in una specie di limbo. In ogni caso era vietata la mescolanza razziale. I takes away lungo le strade ad esempio erano gestiti da indiani, le friggitorie da portoghesi.
Quello che segue è un bruttissimo caso che è capitato a me. Nell'ufficio dell'azienda italiana per cui lavoravo a Johannesburg, c'erano anche ragazzi neri che quindi per noi erano colleghi. Loro ovviamente facevano i lavori più umili tipo fare il caffè, servizi di facchinaggio, autisti ecc. Un giorno sono dovuto partire per una località lontana con uno di questi ragazzi, più o meno mio coetaneo. Lui doveva accompagnarmi con un pulmino carico di strumenti elettronici fino a destino, lasciarmi là dove io avrei trovato un'altra auto e poi riportare il pulmino indietro.
il viaggio è durato due giorni e quindi la sera ci siamo fermati in una località lungo la strada per dormire. Io sono sceso e sono andato a chiedere alla recepcion del motel la disponibilità di due camere. Mi sono sentito dire che la camera per me c'era, ma il mio compagno nero non poteva entrare perchè era assolutamente vietato dalla legge. La stessa cosa al ristorante per mangiare. Non era proprio previsto che i neri viaggiassero e avessero necessità di un albergo. Con imbarazzo, anzi vergogna, gli ho dovuto prendere qualcosa da mangiare e glielo ho portato in macchina, dove lui ha anche dovuto dormire.
Ecco questa era l'apartheid.
giovedì 29 aprile 2010
SUD AFRICA - Apartheid prima parte
Dopo una lunga assenza voglio riprendere a raccontare su questo blog non continuando da dove avevo lasciato, cioè l'arcipelago delle Galapagos che eventualmente riprenderò in seguito, ma un altro paese dove tanti anna fa ho vissuto ma che oggi è un paese completamente diverso da quello che io ho conosciuto, anzi è un altro paese: il Sud Africa. In questo momento il Sud Africa è al centro dell'attualità perchè fra poco più di un mese vi si terrà il campionato del mondo di calcio, uno dei più importanti e più seguiti eventi sportivi a livello mondiale. Tutti i continenti sono rappresentati e anche negli Stati Uniti il SOCCER (lì così è chiamato il calcio, mentre il football è una specie di rugby)è diventato uno sport seguitissimo anche perchè è numerosissima la componente ispanica della popolazione. Così in questo momento tutti conoscono il Sud Africa e, più o meno, sanno dov'è. Ricordo che fino a qualche anno fa, quando dicevo di essere stato in Sud Africa molti mi rispondevano:" a si? in che paese?". Pensavano che sud Africa volesse dire il sud dell'Africa e non una nazione che avesse questo nome. Il Sud Africa oggi è noto non solo per il campionato mondiale di calcio ma, purtroppo, anche per l'altissimo livello di diffusione del AIDS. Quando ci sono vissuto io per quasi 11 mesi tra il 1976 e il 1977 era un paese ai più sconosciuto. Chi conosceva un po' la geografia o seguiva un po' la politica internazionale o aveva visto qualche film sull'argomento sapeva che il Sud Africa era il paese africano più europeo, che le città erano piene di grattacieli sullo stile americano, che era ricchissimo di diamanti (maggiore produttore mondiale) e di oro, che c'erano dei bellissimi parchi nazionali pieni di animali, che era stata una colonia inglese ora indipendente e che era diventato l'unico paese africano indipendente che fosse governato dai bianchi di origine europea.
Qui sta il punto. Questo paese dell'Africa che ospitava 4 milioni di bianchi e 16 milioni di neri, era governato dalla minoranza bianca ricchissima che dominava, anzi schiavizzava, la maggioranza nera. Un governo disumano, profondamente razzista e segregazionista, che aveva imposto per legge l'Apartheid e la faceva rispettare con mano di ferro. Apartheid significava che non ci doveve essere mescolanza di razza: i bianchi, la società predominante, doveva vivere con i bianchi; i neri con i neri; i coloured, cioè tutti gli altri, cinesi, indiani, giapponesi ecc., con i coloured. Non erano ammessi matrimoni misti; non era ammesso alcun tipo di contatto, tanto meno sessuale, tra le razze; socialmente la separazione era totale. Bianchi e neri, l'apice e lo zero della scala sociale, vivevano in città diverse. I bianchi vivevano nelle grandi città che tutto il mondo conosceva, johannesburg, Cape Town, Durban ecc., mentre i negri vivevano ghettizzati nelle bidonville per neri come Soweto ecc. Dalle loro bidonville i neri potevano recarsi nelle città dei bianchi solo durante il giorno per lavorare (servi nelle case, nei negozi, nei ristoranti, nell'ediliza ecc.). Alla sera, intorno alle 18,00 suonava una sirena che si sentiva in tutta la città; quello era il segnale per i neri per lasciare la città e tornare nelle loro bidonville. Solo chi aveva un lavoro in case private o faceva il custode o lavorava negli hotel, solo chi quindi aveva un motivo ben preciso necessario ai bianchi, poteve restare la notte nelle città. Le città erano quindi tranquille e sicure, pulite e splendenti, giorno e notte. Nelle bidonville dei neri invece, dove si viveva nella miseria più totale, erano frequenti le epidemie, era alta la criminalità, si moriva facilmente per mano di delinquenti o per mano di una polizia razzista che con ferocia reprimeva qualsiasi tentativo di ribellione. Tra questi ribelli c'era anche un negro che lottava per la pace eper la liberazione del popolo nero e che già da diversi anni era in prigione. Il suo nome era Nelson Mandela.
Qui sta il punto. Questo paese dell'Africa che ospitava 4 milioni di bianchi e 16 milioni di neri, era governato dalla minoranza bianca ricchissima che dominava, anzi schiavizzava, la maggioranza nera. Un governo disumano, profondamente razzista e segregazionista, che aveva imposto per legge l'Apartheid e la faceva rispettare con mano di ferro. Apartheid significava che non ci doveve essere mescolanza di razza: i bianchi, la società predominante, doveva vivere con i bianchi; i neri con i neri; i coloured, cioè tutti gli altri, cinesi, indiani, giapponesi ecc., con i coloured. Non erano ammessi matrimoni misti; non era ammesso alcun tipo di contatto, tanto meno sessuale, tra le razze; socialmente la separazione era totale. Bianchi e neri, l'apice e lo zero della scala sociale, vivevano in città diverse. I bianchi vivevano nelle grandi città che tutto il mondo conosceva, johannesburg, Cape Town, Durban ecc., mentre i negri vivevano ghettizzati nelle bidonville per neri come Soweto ecc. Dalle loro bidonville i neri potevano recarsi nelle città dei bianchi solo durante il giorno per lavorare (servi nelle case, nei negozi, nei ristoranti, nell'ediliza ecc.). Alla sera, intorno alle 18,00 suonava una sirena che si sentiva in tutta la città; quello era il segnale per i neri per lasciare la città e tornare nelle loro bidonville. Solo chi aveva un lavoro in case private o faceva il custode o lavorava negli hotel, solo chi quindi aveva un motivo ben preciso necessario ai bianchi, poteve restare la notte nelle città. Le città erano quindi tranquille e sicure, pulite e splendenti, giorno e notte. Nelle bidonville dei neri invece, dove si viveva nella miseria più totale, erano frequenti le epidemie, era alta la criminalità, si moriva facilmente per mano di delinquenti o per mano di una polizia razzista che con ferocia reprimeva qualsiasi tentativo di ribellione. Tra questi ribelli c'era anche un negro che lottava per la pace eper la liberazione del popolo nero e che già da diversi anni era in prigione. Il suo nome era Nelson Mandela.
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