lunedì 19 marzo 2012

La Bestia

Quando i missionari vennero in Africa loro avevano la Bibbia e noi avevamo la terra.
Dissero:"Preghiamo". Chiudemmo i nostri occhi. Quando li riaprimmo, noi avevamo la Bibbia e loro avevano la terra.
Desmond Tutu


Sono al fianco di chi soffre umiliazioni e oppressioni per il colore della sua pelle.
Hitler e Mussolini avevano la pelle bianchissima, ma la coscienza nera.
Martin Luther King aveva la pelle color dell'ebano, ma il suo animo brillava della limpida luce, come i diamanti che negri oppressi estraggono dalle miniere del Sudafrica, per la vanità e la ricchezza di una minoranza dalla pelle bianca.
Sandro Pertini

Siamo in Sudafrica nel 1977. Il governo del paese è fortemente in mano alla minoranza bianca. Nelson Mandela è rinchiuso nel carcere di Pollsmoor, Città del Capo, e la sua liberazione è di la da venire. I negri (circa 16 milioni) sono schiavi e lavorano per un tozzo di pane nei campi o nelle miniere o nelle città per svolgere servizi vari. I bianchi (circa 4 milioni) possiedono tutto.
Io, mia moglie un collega di lavoro eravamo nella zona di Springfontain, nel libero Stato dell'Orange, lo stato pù boero e segregazionista del Sudafrica.
Venimmo a sapere che nei paraggi viveva un italiano di nome Benito proprietario di una farm; chi ci diede l'informazione ci indicò anche la strada per raggiungere la farm. Prima di ripartire verso nord decidemmo di andare a trovarlo.
La proprietà di Benito, come tutte le proprietà agricole in Sudafrica a quel tempo, era recintata e vi si accedeva attraverso cancelli. L'ingresso principale che portava alla villa era libero; altri ingressi che davano accesso ai vari allevamenti e coltivazioni, erano invece chiusi con lucchetti. La terra era sudddivisa per appezzamenti ed ogni appezzamento era dedicato ad una coltivazione o ad un allevamento. Ogni appezzamento era recintato e chiuso da un cancello con lucchetto. Attraverso il viale d'accesso ci dirigemmo alla villa. Simile a tante altre ville di campagna Sudafricane, la casa di Benito, di grandi dimensioni, era al centro di un'oasi alberata che assicurava ombra e riparo dalla calura africana.
Benito, che era stato informato del nostro arrivo, ci venne incontro e ci salutò calorosomante. Era un uomo sulla cinquantina, bassso di statura. Di origine era abbruzzese; emigrò in Sudafrica nell'immediato dopoguerra.

Ci accompagnò direttamente nella sala da pranzo dove capimmo subito il perchè del suo nome e, forse, anche perchè lasciò l'Italia alla fine della guerra. Su un mobile della sala troneggiava un busto di Benito Musssolini di cui, ci confessò il nostro Benito, era un grande ammmiratore. Nell'immediato dopoguerra molti fascisti lasciarono l'Italia per riparare in Argentina o in Sudafrica.

Ad un certo punto entrò nella stanza una ragazza nera di circa 20 anni. Non era bella, anzi abbastanza bruttina, però era giovane e, scoprimmo poi, sapeva anche cucinare bene all'Italiana. Questa ragazza, che Benito chiamava "la Bestia", faceva la cuoca, la donna delle pulizie e, sicuramente, soddisfava anche i bisogni sessuali di Benito. Era tenuta come una schiava, come, se non peggio, gli schiavi dell'America del Sud. Con la differenza che eravamo nel 1977.
Lui infatti, sebbene sposato e con 3 figli, viveva solo nella fattoria. La famiglia, oltre alla fattoria, aveva una catena di supermercati in diverse città del Sudafrica, gestiti dai figli e dalla moglie. Benito ci racccontò che arrivato in Sudafrica aprì subito un negozio. Gli affari andarono bene e quindi riuscì a creare un piccolo impero formato dalla fattoria e dalla catena di supermercati. Ci disse che le verdure e la carne che vendevano nei supermercati veniva direttamente dalla loro fattoria, di cui lui si occupava direttamente.
Mentre ci raccontava e aspettavamo il pranzo, noi bevemmo una birra, mentre Benito tracannò una mezza bottiglia di Wisky allungato con acqua tonica e cubetti di ghiaccio, che si versava in un grosso bicchiere da birra, di quelli in vetro trasparente con tante faccette e un grosso manico.
Cominciavamo ad essere nauseati dai discorsi del nostro ospite, quando arrivò la Bestia che portò in tavola una fiamminga stracolma di tagliatelle al sugo e poi pollo e agnello arrosto, che mangiammo innaffiando tutto con vino rosso sudafricano.
Mangiai con gusto, anche se la vista di quella ragazza che entrava nella stanza e ci serviva da mangiare tenendo sempre gli occhi bassi e che subiva in silenzio gli insulti e le umiliazioni di Benito, mi strozzava la bocca dello stomaco.

Dopo avere mangiato e preso il caffè salutammo Benito e partimmo senza nemmeno aver potuto rivedere la Bestia, avendo nell'anima molta, molta tristezza. Il pensiero che così tanti neri vivessero da schiavi nel loro paese ricchissimo e bellissimo, senza un presente e con un futuro molto incerto, sfruttati e maltrattati da una monoranza bianca, sentivo che mi dava un senso dolore profondo.

E dovevano passare ancora molti anni prima ch Nelson Mandela uscisse libero dalla sua prigione e diventasse Presidente del Sudafrica.

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