La prima volta che sentii parlare di Ernesto Cardenal fu in un ufficio di Quito in Ecuador. Era il 1987. Su una parete dell'ufficio era appeso un piccolo manifesto dove era scritta la poesia che riporto nel seguito, firmata da Ernesto Cardenal. La trovai bellissima e mi emozionò moltissimo. Ne parlai con le persone dell'ufficio che, quando partii, me lo regalarono. Ora non trovo più quel piccolo manifesto, non so dove sia finito; forse l'ho perso in qualche trasloco di ufficio o di casa o di città. Però quella poesia e chi la scrisse mi sono rimasti nel cuore.
Ernesto Cardenal è un poeta, un sacerdote e un teologo Nicaraguense. Prima di tutto però fu un rivoluzionario, un sostenitore del popolo contro il regime dittatoriale di Somoza che per molti anni spadroneggiò sul Nicaragua e dopo di lui suo figlio. Cardenal fece parte delle truppe rivoluzionarie Sandiniste che nel 1979 entrarono in Managua e rovesciarono il regime di Anastasio Somoza Debayle.
Durante il governo Sandinista Cardenal fu nominato Ministro della Cultura, carica che dovette poi abbandonare per pressioni del Papa. La chiesa infatti appoggiò sempre i regimi dittatoriali e oppressivi in America Centrale e condannò quei preti come Cardenal o come Mons. Romero, poi ammazzato sull'altare mentre diceva messa, che, con vero spirito Cristiano, si schierarono con il popolo oppresso.
Nel 1983 Cardenal accolse all'aeroporto di Managua Papa Wojtyla e si inginocchiò davanti a lui in segno di obbedienza. Il papa lo rimproverò davanti a tutto il mondo.
AL PERDERTE YO A TI
Al perderte yo a ti
tu y yo hemos perdido:
yo porquè tu eras lo que yo
mas amaba
y tu porquè yo era lo que
te amaba mas.
Pero de nosotros dos
tu pierdas mas que yo:
porquè yo podrè amar a otras
como te amaba a ti
pero a ti no te amaràn como te amaba yo
martedì 31 luglio 2012
venerdì 13 aprile 2012
Il grande viaggio - La partenza
Il mio viaggio più grande è iniziato un freddo 30 novembre 1948, che in quell'anno cadde di martedi. Molti anni dopo venni a sapere che essere nato in quel giorno, a quell'ora e a quelle coordinate geografiche, 43° 9' N - 13° 44' E, significava far parte del segno zodiacale del sagittario con ascendente sagittario. E come poteva, un sagittario puro, non essere amante del viaggiare, come poteva non avere bramosia di conoscere luoghi, popoli, persone, culture, disseminati sul globo terraqueo?
Infatti non poteva, era, già alla nascita, un predestinato a viaggiare o a desiderare di farlo durante tutto il suo grande viaggio: il viaggio della vita.
Il primo vagito, il mio primo sguardo sul mondo, in quel momento molto limitato e incolore, lo diedi nell'ospedale civile di Fermo intitolato ad un grande medico, Augusto Murri.
Mia madre, Gemma, aveva 19 anni quando, dopo i dolori del parto, mi accolse per la prima volta tra le sue braccia.
La mia infanzia trascorse abbastanza tranquilla e serena nella casa di mio nonno Galizio, insieme a mio padre Bruto (detto Peppe), lui, il capo, cioè mio nonno e mia nonna Candida. Nonno e nonna erano i genitori di mio padre, o meglio, erano i genitori adottivi.
La casa dove vivevamo era sulla sommità di un colle, in piena campagna e molto panoramico. Dalla casa la vista spaziava dai monti sibillini, a sud/ovest, fino al mare, a est, che, nelle giornate più limpide, dipingeva di azzurro l'orizzonte in lontananza.
I ricordi che ho di quel periodo sono solo belli e sereni: i giochi solitari o con l'unico amichetto che avevo. Bastava poco per divertirsi: un cerchio di bicicletta da far correre lungo la strada di terra con una criniera di erbetta verde nel centro, guidato con una bacchetta di legno, ad esempio. Le marachelle, a volte veri e propri danni come distruggere una piccola piantagione di cipolle di mio nonno; ricordo che mi corse dietro a lungo per punirmi, senza riuscire a raggiungermi. Oppure quella volta che con Peppino, il mio amichetto, riempimmo il pozzo di un vicino di sterpi di granoturco. A volte i giochi si trsformavano in veri e propri drammi come quella volta che, sempre con Peppino, demmo fuoco al mucchio della paglia di un altro vicino... vennero anche i pompieri; per noi bambini fu una festa.
Quello era tutto il mio mondo, un piccolo mondo che mi permetteva comunque di viaggiare...con la fantasia. I colori, ecco cosa ha caratterizzato la mia infanzia, i colori; il verde della campagna, il giallo del grano maturo, il bianco dei ciliegi in fiore e il rosso delle ciliege mature, l'azzurro del mare a pochi chilometri eppure, per me, così lontano.
Ancora oggi a primavera, quando i campi con il grano verde appena germogliato ondeggiano al vento, quando in cielo nuovole nere si alternano ai raggi del sole mettendo in evidenza l'azzurro del mare ai piedi dei colli, mi rivedo ancora bambino che osservo lo stesso panorama dalla collina dove sorgeva la mia casa.
Spesso ci torno. La casa è diversa. La mia piccola casetta è stata sostituita da un grande palazzo. Tutto il resto è però rimasto inalterato, come se il tempo non fosse passato; compresa la strada per arrivarci è identica, di terra. Anche la chiesetta dedicata a Santo Stefano, quasi attaccata alla casa, è rimasta la stessa. Allora veniva aperta per la messa solo il giorno di Santo Stefano, il giorno dopo il Natale; ed era una festa.
Sono passati tanti anni; ho fatto un viaggio lungo da allora fino ai giorni nostri. Ho viaggiato per paesi lontani e vicini, attraverso momenti belli e felici e momenti pieni di dolore, ho attraversato laghi calmi e tranquilli e mari in tempesta, ho amato e sono stato amato, ho realizzato cose di cui sono orgoglioso e altre meno, ho fatto diventare realtà molti sogni mentre altri sono rimasti incompiuti. Ho attraversato e sto ancora attraversando la vita aggiustando giorno per giorno l'itinerario, modificandolo e adattandolo ai miei interessi, alle mie esigenze, alle mie possibilità. A volte di fronte ad un bivio, da un lato la strada facile e dall'altro una più tortuosa e difficile, scelgo il percorso più lungo e con più ostacoli. Poi, nei momenti di stanchezza, magari mi domando perchè ho fatto questa scelta, perchè non ho preso la via più facile e riposante. Non so darmi una risposta. Forse per allungare il mio viaggio e allontanare la meta.
Infatti non poteva, era, già alla nascita, un predestinato a viaggiare o a desiderare di farlo durante tutto il suo grande viaggio: il viaggio della vita.
Il primo vagito, il mio primo sguardo sul mondo, in quel momento molto limitato e incolore, lo diedi nell'ospedale civile di Fermo intitolato ad un grande medico, Augusto Murri.
Mia madre, Gemma, aveva 19 anni quando, dopo i dolori del parto, mi accolse per la prima volta tra le sue braccia.
La mia infanzia trascorse abbastanza tranquilla e serena nella casa di mio nonno Galizio, insieme a mio padre Bruto (detto Peppe), lui, il capo, cioè mio nonno e mia nonna Candida. Nonno e nonna erano i genitori di mio padre, o meglio, erano i genitori adottivi.
La casa dove vivevamo era sulla sommità di un colle, in piena campagna e molto panoramico. Dalla casa la vista spaziava dai monti sibillini, a sud/ovest, fino al mare, a est, che, nelle giornate più limpide, dipingeva di azzurro l'orizzonte in lontananza.
I ricordi che ho di quel periodo sono solo belli e sereni: i giochi solitari o con l'unico amichetto che avevo. Bastava poco per divertirsi: un cerchio di bicicletta da far correre lungo la strada di terra con una criniera di erbetta verde nel centro, guidato con una bacchetta di legno, ad esempio. Le marachelle, a volte veri e propri danni come distruggere una piccola piantagione di cipolle di mio nonno; ricordo che mi corse dietro a lungo per punirmi, senza riuscire a raggiungermi. Oppure quella volta che con Peppino, il mio amichetto, riempimmo il pozzo di un vicino di sterpi di granoturco. A volte i giochi si trsformavano in veri e propri drammi come quella volta che, sempre con Peppino, demmo fuoco al mucchio della paglia di un altro vicino... vennero anche i pompieri; per noi bambini fu una festa.
Quello era tutto il mio mondo, un piccolo mondo che mi permetteva comunque di viaggiare...con la fantasia. I colori, ecco cosa ha caratterizzato la mia infanzia, i colori; il verde della campagna, il giallo del grano maturo, il bianco dei ciliegi in fiore e il rosso delle ciliege mature, l'azzurro del mare a pochi chilometri eppure, per me, così lontano.
Ancora oggi a primavera, quando i campi con il grano verde appena germogliato ondeggiano al vento, quando in cielo nuovole nere si alternano ai raggi del sole mettendo in evidenza l'azzurro del mare ai piedi dei colli, mi rivedo ancora bambino che osservo lo stesso panorama dalla collina dove sorgeva la mia casa.
Spesso ci torno. La casa è diversa. La mia piccola casetta è stata sostituita da un grande palazzo. Tutto il resto è però rimasto inalterato, come se il tempo non fosse passato; compresa la strada per arrivarci è identica, di terra. Anche la chiesetta dedicata a Santo Stefano, quasi attaccata alla casa, è rimasta la stessa. Allora veniva aperta per la messa solo il giorno di Santo Stefano, il giorno dopo il Natale; ed era una festa.
Sono passati tanti anni; ho fatto un viaggio lungo da allora fino ai giorni nostri. Ho viaggiato per paesi lontani e vicini, attraverso momenti belli e felici e momenti pieni di dolore, ho attraversato laghi calmi e tranquilli e mari in tempesta, ho amato e sono stato amato, ho realizzato cose di cui sono orgoglioso e altre meno, ho fatto diventare realtà molti sogni mentre altri sono rimasti incompiuti. Ho attraversato e sto ancora attraversando la vita aggiustando giorno per giorno l'itinerario, modificandolo e adattandolo ai miei interessi, alle mie esigenze, alle mie possibilità. A volte di fronte ad un bivio, da un lato la strada facile e dall'altro una più tortuosa e difficile, scelgo il percorso più lungo e con più ostacoli. Poi, nei momenti di stanchezza, magari mi domando perchè ho fatto questa scelta, perchè non ho preso la via più facile e riposante. Non so darmi una risposta. Forse per allungare il mio viaggio e allontanare la meta.
lunedì 19 marzo 2012
La Bestia
Quando i missionari vennero in Africa loro avevano la Bibbia e noi avevamo la terra.
Dissero:"Preghiamo". Chiudemmo i nostri occhi. Quando li riaprimmo, noi avevamo la Bibbia e loro avevano la terra.
Desmond Tutu
Sono al fianco di chi soffre umiliazioni e oppressioni per il colore della sua pelle.
Hitler e Mussolini avevano la pelle bianchissima, ma la coscienza nera.
Martin Luther King aveva la pelle color dell'ebano, ma il suo animo brillava della limpida luce, come i diamanti che negri oppressi estraggono dalle miniere del Sudafrica, per la vanità e la ricchezza di una minoranza dalla pelle bianca.
Sandro Pertini
Siamo in Sudafrica nel 1977. Il governo del paese è fortemente in mano alla minoranza bianca. Nelson Mandela è rinchiuso nel carcere di Pollsmoor, Città del Capo, e la sua liberazione è di la da venire. I negri (circa 16 milioni) sono schiavi e lavorano per un tozzo di pane nei campi o nelle miniere o nelle città per svolgere servizi vari. I bianchi (circa 4 milioni) possiedono tutto.
Io, mia moglie un collega di lavoro eravamo nella zona di Springfontain, nel libero Stato dell'Orange, lo stato pù boero e segregazionista del Sudafrica.
Venimmo a sapere che nei paraggi viveva un italiano di nome Benito proprietario di una farm; chi ci diede l'informazione ci indicò anche la strada per raggiungere la farm. Prima di ripartire verso nord decidemmo di andare a trovarlo.
La proprietà di Benito, come tutte le proprietà agricole in Sudafrica a quel tempo, era recintata e vi si accedeva attraverso cancelli. L'ingresso principale che portava alla villa era libero; altri ingressi che davano accesso ai vari allevamenti e coltivazioni, erano invece chiusi con lucchetti. La terra era sudddivisa per appezzamenti ed ogni appezzamento era dedicato ad una coltivazione o ad un allevamento. Ogni appezzamento era recintato e chiuso da un cancello con lucchetto. Attraverso il viale d'accesso ci dirigemmo alla villa. Simile a tante altre ville di campagna Sudafricane, la casa di Benito, di grandi dimensioni, era al centro di un'oasi alberata che assicurava ombra e riparo dalla calura africana.
Benito, che era stato informato del nostro arrivo, ci venne incontro e ci salutò calorosomante. Era un uomo sulla cinquantina, bassso di statura. Di origine era abbruzzese; emigrò in Sudafrica nell'immediato dopoguerra.
Ci accompagnò direttamente nella sala da pranzo dove capimmo subito il perchè del suo nome e, forse, anche perchè lasciò l'Italia alla fine della guerra. Su un mobile della sala troneggiava un busto di Benito Musssolini di cui, ci confessò il nostro Benito, era un grande ammmiratore. Nell'immediato dopoguerra molti fascisti lasciarono l'Italia per riparare in Argentina o in Sudafrica.
Ad un certo punto entrò nella stanza una ragazza nera di circa 20 anni. Non era bella, anzi abbastanza bruttina, però era giovane e, scoprimmo poi, sapeva anche cucinare bene all'Italiana. Questa ragazza, che Benito chiamava "la Bestia", faceva la cuoca, la donna delle pulizie e, sicuramente, soddisfava anche i bisogni sessuali di Benito. Era tenuta come una schiava, come, se non peggio, gli schiavi dell'America del Sud. Con la differenza che eravamo nel 1977.
Lui infatti, sebbene sposato e con 3 figli, viveva solo nella fattoria. La famiglia, oltre alla fattoria, aveva una catena di supermercati in diverse città del Sudafrica, gestiti dai figli e dalla moglie. Benito ci racccontò che arrivato in Sudafrica aprì subito un negozio. Gli affari andarono bene e quindi riuscì a creare un piccolo impero formato dalla fattoria e dalla catena di supermercati. Ci disse che le verdure e la carne che vendevano nei supermercati veniva direttamente dalla loro fattoria, di cui lui si occupava direttamente.
Mentre ci raccontava e aspettavamo il pranzo, noi bevemmo una birra, mentre Benito tracannò una mezza bottiglia di Wisky allungato con acqua tonica e cubetti di ghiaccio, che si versava in un grosso bicchiere da birra, di quelli in vetro trasparente con tante faccette e un grosso manico.
Cominciavamo ad essere nauseati dai discorsi del nostro ospite, quando arrivò la Bestia che portò in tavola una fiamminga stracolma di tagliatelle al sugo e poi pollo e agnello arrosto, che mangiammo innaffiando tutto con vino rosso sudafricano.
Mangiai con gusto, anche se la vista di quella ragazza che entrava nella stanza e ci serviva da mangiare tenendo sempre gli occhi bassi e che subiva in silenzio gli insulti e le umiliazioni di Benito, mi strozzava la bocca dello stomaco.
Dopo avere mangiato e preso il caffè salutammo Benito e partimmo senza nemmeno aver potuto rivedere la Bestia, avendo nell'anima molta, molta tristezza. Il pensiero che così tanti neri vivessero da schiavi nel loro paese ricchissimo e bellissimo, senza un presente e con un futuro molto incerto, sfruttati e maltrattati da una monoranza bianca, sentivo che mi dava un senso dolore profondo.
E dovevano passare ancora molti anni prima ch Nelson Mandela uscisse libero dalla sua prigione e diventasse Presidente del Sudafrica.
Dissero:"Preghiamo". Chiudemmo i nostri occhi. Quando li riaprimmo, noi avevamo la Bibbia e loro avevano la terra.
Desmond Tutu
Sono al fianco di chi soffre umiliazioni e oppressioni per il colore della sua pelle.
Hitler e Mussolini avevano la pelle bianchissima, ma la coscienza nera.
Martin Luther King aveva la pelle color dell'ebano, ma il suo animo brillava della limpida luce, come i diamanti che negri oppressi estraggono dalle miniere del Sudafrica, per la vanità e la ricchezza di una minoranza dalla pelle bianca.
Sandro Pertini
Siamo in Sudafrica nel 1977. Il governo del paese è fortemente in mano alla minoranza bianca. Nelson Mandela è rinchiuso nel carcere di Pollsmoor, Città del Capo, e la sua liberazione è di la da venire. I negri (circa 16 milioni) sono schiavi e lavorano per un tozzo di pane nei campi o nelle miniere o nelle città per svolgere servizi vari. I bianchi (circa 4 milioni) possiedono tutto.
Io, mia moglie un collega di lavoro eravamo nella zona di Springfontain, nel libero Stato dell'Orange, lo stato pù boero e segregazionista del Sudafrica.
Venimmo a sapere che nei paraggi viveva un italiano di nome Benito proprietario di una farm; chi ci diede l'informazione ci indicò anche la strada per raggiungere la farm. Prima di ripartire verso nord decidemmo di andare a trovarlo.
La proprietà di Benito, come tutte le proprietà agricole in Sudafrica a quel tempo, era recintata e vi si accedeva attraverso cancelli. L'ingresso principale che portava alla villa era libero; altri ingressi che davano accesso ai vari allevamenti e coltivazioni, erano invece chiusi con lucchetti. La terra era sudddivisa per appezzamenti ed ogni appezzamento era dedicato ad una coltivazione o ad un allevamento. Ogni appezzamento era recintato e chiuso da un cancello con lucchetto. Attraverso il viale d'accesso ci dirigemmo alla villa. Simile a tante altre ville di campagna Sudafricane, la casa di Benito, di grandi dimensioni, era al centro di un'oasi alberata che assicurava ombra e riparo dalla calura africana.
Benito, che era stato informato del nostro arrivo, ci venne incontro e ci salutò calorosomante. Era un uomo sulla cinquantina, bassso di statura. Di origine era abbruzzese; emigrò in Sudafrica nell'immediato dopoguerra.
Ci accompagnò direttamente nella sala da pranzo dove capimmo subito il perchè del suo nome e, forse, anche perchè lasciò l'Italia alla fine della guerra. Su un mobile della sala troneggiava un busto di Benito Musssolini di cui, ci confessò il nostro Benito, era un grande ammmiratore. Nell'immediato dopoguerra molti fascisti lasciarono l'Italia per riparare in Argentina o in Sudafrica.
Ad un certo punto entrò nella stanza una ragazza nera di circa 20 anni. Non era bella, anzi abbastanza bruttina, però era giovane e, scoprimmo poi, sapeva anche cucinare bene all'Italiana. Questa ragazza, che Benito chiamava "la Bestia", faceva la cuoca, la donna delle pulizie e, sicuramente, soddisfava anche i bisogni sessuali di Benito. Era tenuta come una schiava, come, se non peggio, gli schiavi dell'America del Sud. Con la differenza che eravamo nel 1977.
Lui infatti, sebbene sposato e con 3 figli, viveva solo nella fattoria. La famiglia, oltre alla fattoria, aveva una catena di supermercati in diverse città del Sudafrica, gestiti dai figli e dalla moglie. Benito ci racccontò che arrivato in Sudafrica aprì subito un negozio. Gli affari andarono bene e quindi riuscì a creare un piccolo impero formato dalla fattoria e dalla catena di supermercati. Ci disse che le verdure e la carne che vendevano nei supermercati veniva direttamente dalla loro fattoria, di cui lui si occupava direttamente.
Mentre ci raccontava e aspettavamo il pranzo, noi bevemmo una birra, mentre Benito tracannò una mezza bottiglia di Wisky allungato con acqua tonica e cubetti di ghiaccio, che si versava in un grosso bicchiere da birra, di quelli in vetro trasparente con tante faccette e un grosso manico.
Cominciavamo ad essere nauseati dai discorsi del nostro ospite, quando arrivò la Bestia che portò in tavola una fiamminga stracolma di tagliatelle al sugo e poi pollo e agnello arrosto, che mangiammo innaffiando tutto con vino rosso sudafricano.
Mangiai con gusto, anche se la vista di quella ragazza che entrava nella stanza e ci serviva da mangiare tenendo sempre gli occhi bassi e che subiva in silenzio gli insulti e le umiliazioni di Benito, mi strozzava la bocca dello stomaco.
Dopo avere mangiato e preso il caffè salutammo Benito e partimmo senza nemmeno aver potuto rivedere la Bestia, avendo nell'anima molta, molta tristezza. Il pensiero che così tanti neri vivessero da schiavi nel loro paese ricchissimo e bellissimo, senza un presente e con un futuro molto incerto, sfruttati e maltrattati da una monoranza bianca, sentivo che mi dava un senso dolore profondo.
E dovevano passare ancora molti anni prima ch Nelson Mandela uscisse libero dalla sua prigione e diventasse Presidente del Sudafrica.
giovedì 15 marzo 2012
La casa dell'uomo
"La vera casa dell'uomo non è una casa, è la strada. La vita stessa è un viaggio da fare a piedi".
Bruce Chatwin
Bruce Chatwin
martedì 13 marzo 2012
OBSESION
Por alto que esta el cielo en el mundo,
por ondo que sea el mar profundo,
no habra barrera en el mundo que mi.................
por ondo que sea el mar profundo,
no habra barrera en el mundo que mi.................
ITACA
"....Sempre devi avere in mente Itaca, raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio, fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull'sola, tu, ricco, dei tesori accumulati per strada, senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo sulla strada...."
la poesia sintetizza l'essenza del viaggio, il significato del viaggiare la filosofia del vero viaggiatore: partire da un luogo per raggiungere un altro luogo noto, la meta, la tua meta; tra i due estremi c'è il viaggio, la scoperta, il conoscere, il crescere. Viaggiare significa creare, conoscere, imparare, scoprire. Viaggiare non è arrivare in un posto, ma perccorrere il cammino che ti permette poi, alla fine, di arrivare in quel dato posto.
Viaggiare,è la metafora della vita: si nasce e già si sa dove si vuole (deve) arrivare: alla morte. in mezzo tra la nascita e la morte, c'è il viaggio, la vita. Nessuno ha fretta di arrivare in fondo a questo viaggio, perchè in fondo c'è la fine del viaggio, c'è la morte. Ognuno di noi fa di tutto per rendere questo viagggio più lungo possibile. Si alimenta meglio possibile, gode del bello e dei piaceri, si circonda di affetti, di amore, studia, cerca di conoscere più possibile perchè la conoscenza gli permette anche di allungare il viaggio, lavora, crea e, alla fine....raggiunge la sua ITACA. Come qualsiasi vero viaggiatore, si avventura nel suo viaggio senza conoscere l'esatto percorso, senza riuscire a valutare tutti i rischi del viaggio, senza conoscere i buoni e i cattivi incontri che farà. Il suo viaggio lo costruisce giorno per giorno. Una sola cosa è certa: alla fine arriverà alla sua ITACA.
E allora la vita che ci è stata regalata va vissuta bene perchè è il più bello, meraviglioso viaggio che ci sia consentito di fare. La meta è nota a tutti ed è la stessa per tutti; ma ognuno di noi può costruire il percorso del suo viaggio come vuole; può scegliersi i compagni di viaggio che vuole, può utilizzare i mezzi che vuole, può superare le toruosità e le difficoltà delle terre che attraversa come vuole, può godere dei piaceri e degli amori che vuole ma, alla fine arriverà sicuramente alla sua meta e ci arriverà da solo. Ma arriverà ricco; ricco dei tesori che avrà accumulato per strada.
la poesia sintetizza l'essenza del viaggio, il significato del viaggiare la filosofia del vero viaggiatore: partire da un luogo per raggiungere un altro luogo noto, la meta, la tua meta; tra i due estremi c'è il viaggio, la scoperta, il conoscere, il crescere. Viaggiare significa creare, conoscere, imparare, scoprire. Viaggiare non è arrivare in un posto, ma perccorrere il cammino che ti permette poi, alla fine, di arrivare in quel dato posto.
Viaggiare,è la metafora della vita: si nasce e già si sa dove si vuole (deve) arrivare: alla morte. in mezzo tra la nascita e la morte, c'è il viaggio, la vita. Nessuno ha fretta di arrivare in fondo a questo viaggio, perchè in fondo c'è la fine del viaggio, c'è la morte. Ognuno di noi fa di tutto per rendere questo viagggio più lungo possibile. Si alimenta meglio possibile, gode del bello e dei piaceri, si circonda di affetti, di amore, studia, cerca di conoscere più possibile perchè la conoscenza gli permette anche di allungare il viaggio, lavora, crea e, alla fine....raggiunge la sua ITACA. Come qualsiasi vero viaggiatore, si avventura nel suo viaggio senza conoscere l'esatto percorso, senza riuscire a valutare tutti i rischi del viaggio, senza conoscere i buoni e i cattivi incontri che farà. Il suo viaggio lo costruisce giorno per giorno. Una sola cosa è certa: alla fine arriverà alla sua ITACA.
E allora la vita che ci è stata regalata va vissuta bene perchè è il più bello, meraviglioso viaggio che ci sia consentito di fare. La meta è nota a tutti ed è la stessa per tutti; ma ognuno di noi può costruire il percorso del suo viaggio come vuole; può scegliersi i compagni di viaggio che vuole, può utilizzare i mezzi che vuole, può superare le toruosità e le difficoltà delle terre che attraversa come vuole, può godere dei piaceri e degli amori che vuole ma, alla fine arriverà sicuramente alla sua meta e ci arriverà da solo. Ma arriverà ricco; ricco dei tesori che avrà accumulato per strada.
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