Gustave Flaubert, lettere a Louise Colet
Come fa un ragazzo di provincia della provincia marchigiana, quindi provincia al quadrato, al tempo in cui non c'era Internet e nemmeno i computer, poca televisione e comunque molto localistica, familistica, tradizionale, di famiglia semplice operaia e con poche risorse economiche, a capire qual'è la sua strada, a capire che i luoghi dove è nato e da sempre vive sono spazi troppo stretti per lui, a orientarsi verso altre direzioni, altri mondi. Non è facile, ma nemmeno impossibile. E' un percorso lungo fatto di piccole scelte prese più per istinto che per ragionamenti. E solo quando è arrivato capisce che è lì che voleva arrivare che è quella la sua strada e lui si è incamminato nella giusta direzione.
Avevo tanti amici con i quali mi divertivo. Facevo i giochi che facevano tutti: pallone, bocce, passatempi vari. Frequentavo gli stessi ambienti che frequentavano tutti i ragazzi della mia età; ma in qualche modo mi sentivo diverso da loro. Pur facendo le stesse cose che facevano i miei compagni, io mi sentivo meno inserito di loro nel contesto in cui vivevamo. Loro erano felici, soddisfatti e completamente inseriti nell'ambiente in cui vivevamo. Io, pur facendo le stesse cose le facevo con un po' più distacco, partecipavo ma mi sentivo meno coinvolto, vivevo la stessa vita ma contemporaneamente ne sognavo un'altra. Loro pensavano a come inserirsi in quel mondo, io pensavo a come andarmene.
Amavo gli spazi aperti, amavo il cielo, amavo il mare e tutto ciò che mi dava la senzazione di libertà, tutto ciò di cui potevo vedere l'inizio ma non la fine, amavo l'infinito. Amavo la geografia, soprattutto l'atlante con le figure di trre molto lontane, di popoli completamente diversi. E amavo leggere. Leggevo di tutto, tutto ciò che trovavo. Ovviamente leggevo i fumetti, soprattutto di avventura come Black Macigno, Tex, ma leggevo anche libri, tutti i libri che trovavo in giro. Leggevo i libri d'amore che mi passava una mia cugina, leggevo i gialli, leggevo i classici della letteratura per ragazzi ma anche autori famosi , diciamo, per adulti come Victor Hugo, Flaubert, Stevenson. Pur non avendo soldi per comprare i libri, potevo attingere ad una fornitissima quanto singolare biblioteca. Mio padre, netturbino, come secondo lavoro vuotava cantine e raccoglieva il mteriale che poteva poi rivendere, come la carta, in un paio di magazzini. Io passavo molto tempo in questi magazzini che erano pieni di libri, di ogni genere: romanzi, saggi, di storia, ma anche diari anche antichi, gialli fino a libri erotici per me molto ghiotti. Leggevo di tutto e volavo con la fantasia. Debbo dire che leggevo meno quelli di scuola, o meglio ero un motore alternato; intervallavo anni in cui andavo alla grande, ad anni in cui .......mi riposavo un po'.
Arrivò il momento in cui dovetti fare una scelta: scegliere l'indirizzo di scuola media superiore. A quel tempo andava alla grande Ragioneria perchè garantiva uno sbocco lavorativo. I figli di "papà" andavano tutti al liceo classico, mentre lo scientifico a quel tempo non era molto gettonato. C'era poi la scuola per Geometri, ma a quel tempo rappresentava lo sbocco per "i somari" che non erano riusciti nelle altre scuole. E poi c'era la scuola più blasonata, più grande e con più indirizzi e sbocchi lavorativi: l'Istituto Tecnico Indutriale Montani, il primo e il più famoso d'Italia. A quel tempo le grandi aziende assumevano i Periti Industriali ancora prima che si diplomassero. Dopo un biennio uguale per tutti bisognava scegliere tra varie possibili specializzazioni. E qui, più per un istinto o per un pensiero filosofico che mi guidò, che per convinzione o predisposizione per materi tecnico/scientifiche, scelsi TELECOMUNICAZIONI. Già la parola mi riportava a paesi, popoli lontani da mettere in contatto tra loro. Mi faceva pensare allo spazio, inteso proprio come Universo, a qualcosa di lontano, di infinito.
Mi diplomai, feci il militare che mi permise di fare i miei primi viaggi, di prendere il treno, mi permise di sognare quando magari dalla caserma di Orvieto, dove feci il CAR, vedevo passare lunghi treni che io speravo prima o poi di prendere per andare ovunque andasse. A proposito del militare ho un unico rammarico. Io speravo di andare in Marina, di entrare nel Battaglione San Marco, le truppe da sbarco della M.M., di navigare. Ma purtroppo, per varie ragioni non ultima perchè mio padre mi convinse a chiedere il trasferimento all'esercito perchè la ferma era di soli 15 mesi mentre in marina erano 24, feci il militare nei Granatieri di Sardegna, a Roma, in via di Pietralata caserma Gandin "A Me Le Guardie". Sogni a parte fu comunque una cosa positiva perchè finalmente potei entrare in contatto con una vera, grande, bellissima città. Alla fine ero "sdoganato" e avevo chiaro dove indirizzare il mio futuro.
E dopo un breve periodo passato a casa, a valutare i consigli di mio padre che insisteva perchè facessi i concorsi per entrare in Comune o nella Cassa di Risparmio locale con le raccomandazioni dei soliti politichetti locali, arrivò la grande svolta.
Una grande azienda di Milano del settore delle telecmunicazioni, mi assunse e mi assegnò agli Impianti, così si chiamava l'area che realizzava i sistemi di telecomunicazioni in ponti radio in giro per il mondo. E così iniziò la mia avventura, la realizzazione dei miei desideri. Partire, viaggiare, conoscere popoli diversi, entrare in contatto con culture e civiltà diverse e, al contempo, realizzare qualcosa che permettesse a questi popoli lontani di essere più vicini tra loro, di scambiare non solo merci ma anche, forse soprattutto, cultura, quindi di crescere mantenendo ognuno le sue specificità.
Per me il progetto pià grande che l'Europa ha realizzato nel dopoguerra è la Comunità Europea, è l'abbattimento delle frontiere, è la moneta unica, quindi in definitiva è la libertà offerta ai popoli di avvicinarsi, di fondersi, una libertà data non solo ai popoli europei, ma anche a tutti quei popoli che desiderano entrare a far parte di questa grande comunità moderna e multietnica.
La scelta peggiore che un popolo possa fare è quella di chiudersi in se stesso, temere gli scambi con gli altri per paura di perdere la sua identità, di usare espressioni tipo ".....vengono a comandare a casa nostra....., oppure .......tornino a casa loro...... Questi popoli si convincono che gli altri sono nemici, soprattutto se sono di colore diverso o, peggio, di religione diversa. Non capiscono che tutti abbiamo qualcosa da imparare da qualcun altro e imparare significa crescere. Chiudersi nel proprio paesello, nella propria comunità che parla lo stesso dialetto, che ha lo stesso accento e mangia i piatti della stessa cucina locale, forse ci fa stare più tranquilli, ma non ci fa crescere, non ci fa conoscere e ci riporta nel Medio Evo al tempo dei Comuni e delle piccole comunità. Non dobbiamo però dimenticare che anche a causa di quel pensiero, di quella organizzazione sociale, l'Italia, unico paese in Europa, per quasi 1400 anni è stata dominata da popoli e paesi stranieri