"L'uomo, umanizzandosi, aveva acquistato insieme alle gambe diritte e al passo aitante un istinto migratorio, l'impulso a varcare lunghe distanze nel corso delle stagioni; questo impulso era inseparabile dal sistema nervoso centrale; e quando era tarpato da condizioni di vita sedentarie trovava sfogo nella violenza, nell'avidità, nella ricerca di prestigio o nella smania del nuovo. Ciò spiegherebbe perché società mobili come gli zingari siano egualitarie, libere dalle cose e restie al cambiamento; e anche perché, nell'intento di ristabilire l'armonia dello stato primigenio, tutti i grandi maestri - Budda, Lao-tse, san Francesco - abbiano messo al centro del loro messaggio il pellegrinaggio perpetuo, e raccomandato ai loro discepoli, letteralmente, di seguire la Via."
Bruce Chatwin
Anatomia dell'irrequietezza
Si può essere d'accordo o no con questo pensiero; lo si può definire debole e generico, oppure profondo e circostanziato; una cosa però è certa: quelle correnti di pensiero che oggi inneggiano al nazionalismo, alla chiusura agli estranei, ai diversi, ai non appartenenti alla nostra piccola comunità, che vedono come il fumo negli occhi tutto ciò che parla di integrazione, di sovranazionalismo, di superamento del concetto di razza riferito al genere umano, di cittadinanza legata a dove uno nasce o stabilmente vive e non alla discendenza di sangue (un concetto arcaico che non ha più alcun senso nella società moderna), sono espressione di chiusura, di una visione localista e ristretta della società che si rifà più a una società di tipo tribale che di tipo moderno. Alla base di tutto c'è la paura; una paura dettata dalla non conoscenza, dall'ignoranza; con un'espressione dalla miseria di pensiero. Il pellegrinaggio perpetuo invece avvicina i popoli, mescola le culture e crea una cultura superiore, cosmopolita, agevola una scambio totale, non solo di merci, ma anche, e soprattutto, di idee, di pensiero. L'uomo dovrebbe tendere ad uno Stato Mondo, dove l'obiettivo è quello di creare benessere e felicità per tutti e non chiudersi nella propria piccola comunità (....a casa nostra...) pensando al solo proprio benessere fregandosene di tutti gli altri o, forse, a loro discapito
martedì 6 maggio 2014
TU
Ho trovato questa poesia scritta su un segnalibro datomi in omaggio in una libreria dove acquistai alcuni libri. Non conosco l'autore ma lo invidio per aver saputo scrivere versi come questi che voglio condividere con tutti coloro che si imbatteranno con questo blog:
"
Tu
Il peggiore di tutti i tu
Io vorrei
che non ci fossi più
Che per magia sparissi
Che potessi fare due passi
In avanti dove non ci fossi
All'indietro
prima che arrivassi
da un reame di sole e sassi
Tu
Che ogni giorno
mi piaci di più
"
"
Tu
Il peggiore di tutti i tu
Io vorrei
che non ci fossi più
Che per magia sparissi
Che potessi fare due passi
In avanti dove non ci fossi
All'indietro
prima che arrivassi
da un reame di sole e sassi
Tu
Che ogni giorno
mi piaci di più
"
giovedì 1 agosto 2013
Anna
Anna perdonami
questa volta non ho potuto difenderti.
Ti ho sempre voluto bene anche quando ti rimproveravo
e tu, per questo, ti arrabbiavi.
questa volta non ho potuto difenderti.
Ti ho sempre voluto bene anche quando ti rimproveravo
e tu, per questo, ti arrabbiavi.
venerdì 1 marzo 2013
VIAGGIO ALLE GALAPAGOS - Julio
Da San Cristobal si può partire per delle crociere della durata di 4/5 giorni che portano i turisti in giro per l'arcipelago. Fanno visitare le isole abitate e quelle disabitate di interesse naturalistico e faunistico. Si può vedere la vita gli usi e i costumi nelle varie isole, ma si possono vedere anche le colonie dei tipici animali delle Galapagos. Le famose tartarughe giganti, i jurassici rettili come gli iguana, le foche, i trichechi e le innumerevoli specie di uccelli. Tutto avviene ovviament in modo molto controllato, con precise regole nel totale rispetto della natura e delle abitudini degli abitanti autoctoni dell'arcipelago. Ad esempio le visite in certe isole dove ci sono coloie di certi animali, si possono fare solo in determinati periodi, mentre in altri no, in accordo con i ritmi biologici e vitali degli animali stessi.
Noi saremmo rimasti sull'isola di San Cristobal solo tre giorni e non avevamo tempo per fare una crociera. Volevamo però andare a visitare l'isolotto chiamato Leon Dormido, uno scoglio che visto da lontano assomiglia proprio alla testa di un leone addormentato. Si trova a 3 o 4 miglia, circa 7 Km, al largo di Puerto Baquerizo Moreno, famoso per essere una colonia foltissima di uccelli di varie specie.
Non avevamo altra scelta; l'unico modo per andare al Leon Dormido era di noleggiare una di quelle barchette con skipper, ovviamente abususivi, che portano i turisti che vogliono fare un giretto intorno all'isola. Sono barche piccole e poco sicure, non proprio adatte per avventurarsi in pieno Oceano Pacifico anche se solo per 4 miglia.
Trovammo subito uno skipper e fissammo per la mattina dopo ovviamente con pranzo al sacco incluso preparato da lui. La mattina dopo ci trovammo in spiaggia all'ora stabilita e il nostro skipper abusivo ci stava già aspettando. La barca era davvero una bagnarola, piccola per portare quattro persone e con un motorino che non dava nessun affidamento. Ci guardammo in faccia e dicemmo al nostro amico che non se ne faceva niente. Ci prendemmo il pranzo che gli pagammo bene e, a malincuore e un po' delusi, ce ne andammo a spasso. Il pranzo lo mangiammo nel giardino dell'hotel e, debbo dire, era veramente gustoso e abbondante.
E il Leon Dormido? Un nostro amico locale risolse il problema trovando un altro skipper per la mattina successiva. Il suo nome era Julio e ci aspettava in spiaggia alle otto.
La mattina dopo, all'ora stabilita, eravamo in spiaggia. Julio era un giovane nero di 30 anni circa; era accompagnato dal figlio, un ragazzino di una decina d'anni. La barca era abbastanza grande per cotenerci tutti e aveva un buon motore. Partimmo.
Il percorso fino al Leon Dormio sarebbe durato un paio d'ore e lungo il tragitto non 'era molto da vedere. Per il primo tratto si poteva vedere la costa di San Cristobal, ma poi solo mare. Julio al timone della sua barca era abbastanza silenzioso; parlava solo per rispondere sinteticamente alle nostre domande. Però eravamo carichi di spirito e pervasi da un senso di avventura derivante anche dall'insicurezza che ci dava quell'improbabile barca in mezzo al Pacifico. Fortunatamente le condizioni metereologiche erano ottime, la giornata piena di sole e il mare calmo.
La barca andava avanti lenta e tranquilla sul mare senza onde e noi ci godevamo il sole sempre più alto e l'azzurro del cielo che si tuffava in quello del mare in un abbraccio di sapori dolce e salato indistinti.
Ad un certo punto la pelle del mio corpo mi ricordò che eravamo all'Equatore, dove il sole picchia forte e i raggi del Sole arrivano sulla Terra perpendicolari. Il rischio di dolorose bruciature è molto alto. Io avevo già fatto un'esperienza del genere la prima volta che ndai a Quito che, oltre ad essere sull'Equatore, è a quasi 3000 mt. d'altezza. Pochi minuti in piscina mi costarono una bruciatura totale e dolorosa.
Corsi ai ripari coprendomi alla meglio con un asciugamano. Sulla testa avevo un cappellaccio di paglia tipo Panama.
Ad un certo punto Julio richiamò la nostra attenzione su una macchia nera sul pelo dellacqua che si ingrandiva man mano che ci avvicinavamo. Era una grossa manta; si muoveva a scatti, ma non nuotava. Capimmo che era ferita o comunque malata e probabilmente stava morndo. Peccato! Era bellissima.
Man mano che ci avvicinavamo al Leon Drmido, il cielo veniva solcato dal volo di sempre più uccelli di diverse specie. La maggior parte erano comunque fregate con la loro caratteristica sacca sottogola di colore rosso.
Il Leon Dormido era sempre più vicino e ad un certo punto vedemmo che l'isolotto, che da lontano sembrava intero, aveva in realtà una spaccatura sul lato destro che lo divideva in due. Sembrava un proscutto a cui era stata tagliata la prima fetta che rimaneva accostata con la sua gobba al lato del corpo principale.
La fenditura diventava sempre più grande man mano che ci avvicinavamo e una volta arrivati nei pressi dell'isolotto, ci accorgemmo che era un vero e proprio passaggio attraverso il quale ci inoltrammo.
Il passaggio non era molto largo; ai lati della barca rimaneva si e no un metro per parte. Le pareti erano altissime e noi ci sentivamo piccoli, piccoli. Data l'altezza e la scarsa larghezza del passaggio, all'interno non filtrava molta luce. Il tutto creava un'atmosfera strana e un po' impressionante.
Ad accrescere questa immagine un po' spettrale era l'assordante rumore causato dal canto degli innumerevoli uccelli che svolazzavano o che, soprattutto, erano appollaiati sugli anfratti delle pareti rocciose. Sembrava di stare dentro al film "Gli Uccelli" di Hitchcock.
Era comunque bellissimo. Una cosa unica. Mi rendevo conto di vivere realmente uno di quei documentari naturalistici che si vedono a volte in televisione. Uno spettacolo unico e indimenticabile.
In pochi minuti attraversammo tutto il passaggio e ci trovammo dall'altra parte del'isolotto.
Ancora più bello, meraviglioso. Il fragore degli uccelli era assordante; ce n'erano a centinaia, forse a migliaia. Il cielo ne era pieno, ma anche le pareti rocciose che erano tutte bianche per i loro escrementi. Con il binoclo riuscii a vedere anche dei nidi e dei piccoli ancora non in grado di volare
Percorremmo il lato occidentale dello scoglio e doppiammo il capo sud per poi mettere la prua della barca verso oriente, verso San Cristobal.
Il ritorno fu lento e tranquillo; tutti i nostri sensi erano ancora pieni dell'esperienza che avevamo vissuto.
Erano ormai poco meno delle due del pomeriggio, quando approdammo in una spiaggetta sulla costa occidentale di San Cristobal. Qui facemmo il bagno in un'acqua di un azzurro e di una limpidezza stupendi, in mezzo ad una tranquilla colonia di foche. Una cosa veramente unica e fantastica che subito si nota alle Galapagos è che gli animali non temono l'uomo. Anzi ne sono incuriositi. Noi nuotavamo tra le foche che se ne stavano tranquille al sole, per niente infastidite da noi, ma anche loro nuotavano e giocavano intorno a noi. Dopo il bagno, riparandoci alla meglio sotto i bassi cespugli che rappresentavano la vegetazione locale dal sole e dalla sabbia bollente, mangiammo con gusto il pranzetto al sacco che ci aveva preparato Julio.
Affamatissimi ci buttammo sui filetti di pesce fritto e sulle banane grigliate, piatto tipico locale, il tutto innaffiato dalla birra ecuadoriana, quasi fresca.
Anche Julio e il figlio mangiarono con noi. Julio ci raccontò che oltre a portare i turisti in barca, per sbarcare il lunario faceva anche una specie di servizio taxi, sempre abusivo, tra l'aeroporto e il villaggio con un pick up come si usava lì, e aveva poi un piccolo nogozietto, gestito dalla moglie, dove vendeva souvenir e dove io comprai una T-shirt rossa con la scritta Galapagos "pintada a mano" e un paio di braghette da bagno in stile caraibico. Insomma aveva messo su una piccola attività turistica. Il bambino invece andava a scuola che in quel periodo era chiusa e quindi poteva accompagnare il padre.
Dopo il pasto fcemmo un riposino e poi ripartimmo alla volta di Puerto Baquerizo Moreno, dove arrivammo verso le cinque del pomeriggio. Un po' stanchi ma felici, pagammo Julio il nostro Cicerone che nel frattempo era diventato anche loquace, lo salutammo e ci avviammo verso il nostro piccolo residence. Dopo la doccia mi sedetti fuori sul piccolo terrazzino a guardare le foche che già avevano preso posto sopra le barche come di consueto e si godevano, come me, l'ultimo sole della giornata che ormai ci inviava i suoi raggi poco alti sull'orizzonte e ci regalava una luce meravigliosa che avrebbe fatto felice anche i fotografi più sofisticati. Anche io, pur essendo un semplice fotografo amatoriale, ne approfittai.
martedì 26 febbraio 2013
Il Grande Viaggio - Il Cammino
Esistono cammini senza viaggiatori. Ma vi sono ancor più viaggiatori che non hanno i loro sentieri
Gustave Flaubert, lettere a Louise Colet
Gustave Flaubert, lettere a Louise Colet
Come fa un ragazzo di provincia della provincia marchigiana, quindi provincia al quadrato, al tempo in cui non c'era Internet e nemmeno i computer, poca televisione e comunque molto localistica, familistica, tradizionale, di famiglia semplice operaia e con poche risorse economiche, a capire qual'è la sua strada, a capire che i luoghi dove è nato e da sempre vive sono spazi troppo stretti per lui, a orientarsi verso altre direzioni, altri mondi. Non è facile, ma nemmeno impossibile. E' un percorso lungo fatto di piccole scelte prese più per istinto che per ragionamenti. E solo quando è arrivato capisce che è lì che voleva arrivare che è quella la sua strada e lui si è incamminato nella giusta direzione.
Avevo tanti amici con i quali mi divertivo. Facevo i giochi che facevano tutti: pallone, bocce, passatempi vari. Frequentavo gli stessi ambienti che frequentavano tutti i ragazzi della mia età; ma in qualche modo mi sentivo diverso da loro. Pur facendo le stesse cose che facevano i miei compagni, io mi sentivo meno inserito di loro nel contesto in cui vivevamo. Loro erano felici, soddisfatti e completamente inseriti nell'ambiente in cui vivevamo. Io, pur facendo le stesse cose le facevo con un po' più distacco, partecipavo ma mi sentivo meno coinvolto, vivevo la stessa vita ma contemporaneamente ne sognavo un'altra. Loro pensavano a come inserirsi in quel mondo, io pensavo a come andarmene.
Amavo gli spazi aperti, amavo il cielo, amavo il mare e tutto ciò che mi dava la senzazione di libertà, tutto ciò di cui potevo vedere l'inizio ma non la fine, amavo l'infinito. Amavo la geografia, soprattutto l'atlante con le figure di trre molto lontane, di popoli completamente diversi. E amavo leggere. Leggevo di tutto, tutto ciò che trovavo. Ovviamente leggevo i fumetti, soprattutto di avventura come Black Macigno, Tex, ma leggevo anche libri, tutti i libri che trovavo in giro. Leggevo i libri d'amore che mi passava una mia cugina, leggevo i gialli, leggevo i classici della letteratura per ragazzi ma anche autori famosi , diciamo, per adulti come Victor Hugo, Flaubert, Stevenson. Pur non avendo soldi per comprare i libri, potevo attingere ad una fornitissima quanto singolare biblioteca. Mio padre, netturbino, come secondo lavoro vuotava cantine e raccoglieva il mteriale che poteva poi rivendere, come la carta, in un paio di magazzini. Io passavo molto tempo in questi magazzini che erano pieni di libri, di ogni genere: romanzi, saggi, di storia, ma anche diari anche antichi, gialli fino a libri erotici per me molto ghiotti. Leggevo di tutto e volavo con la fantasia. Debbo dire che leggevo meno quelli di scuola, o meglio ero un motore alternato; intervallavo anni in cui andavo alla grande, ad anni in cui .......mi riposavo un po'.
Arrivò il momento in cui dovetti fare una scelta: scegliere l'indirizzo di scuola media superiore. A quel tempo andava alla grande Ragioneria perchè garantiva uno sbocco lavorativo. I figli di "papà" andavano tutti al liceo classico, mentre lo scientifico a quel tempo non era molto gettonato. C'era poi la scuola per Geometri, ma a quel tempo rappresentava lo sbocco per "i somari" che non erano riusciti nelle altre scuole. E poi c'era la scuola più blasonata, più grande e con più indirizzi e sbocchi lavorativi: l'Istituto Tecnico Indutriale Montani, il primo e il più famoso d'Italia. A quel tempo le grandi aziende assumevano i Periti Industriali ancora prima che si diplomassero. Dopo un biennio uguale per tutti bisognava scegliere tra varie possibili specializzazioni. E qui, più per un istinto o per un pensiero filosofico che mi guidò, che per convinzione o predisposizione per materi tecnico/scientifiche, scelsi TELECOMUNICAZIONI. Già la parola mi riportava a paesi, popoli lontani da mettere in contatto tra loro. Mi faceva pensare allo spazio, inteso proprio come Universo, a qualcosa di lontano, di infinito.
Mi diplomai, feci il militare che mi permise di fare i miei primi viaggi, di prendere il treno, mi permise di sognare quando magari dalla caserma di Orvieto, dove feci il CAR, vedevo passare lunghi treni che io speravo prima o poi di prendere per andare ovunque andasse. A proposito del militare ho un unico rammarico. Io speravo di andare in Marina, di entrare nel Battaglione San Marco, le truppe da sbarco della M.M., di navigare. Ma purtroppo, per varie ragioni non ultima perchè mio padre mi convinse a chiedere il trasferimento all'esercito perchè la ferma era di soli 15 mesi mentre in marina erano 24, feci il militare nei Granatieri di Sardegna, a Roma, in via di Pietralata caserma Gandin "A Me Le Guardie". Sogni a parte fu comunque una cosa positiva perchè finalmente potei entrare in contatto con una vera, grande, bellissima città. Alla fine ero "sdoganato" e avevo chiaro dove indirizzare il mio futuro.
E dopo un breve periodo passato a casa, a valutare i consigli di mio padre che insisteva perchè facessi i concorsi per entrare in Comune o nella Cassa di Risparmio locale con le raccomandazioni dei soliti politichetti locali, arrivò la grande svolta.
Una grande azienda di Milano del settore delle telecmunicazioni, mi assunse e mi assegnò agli Impianti, così si chiamava l'area che realizzava i sistemi di telecomunicazioni in ponti radio in giro per il mondo. E così iniziò la mia avventura, la realizzazione dei miei desideri. Partire, viaggiare, conoscere popoli diversi, entrare in contatto con culture e civiltà diverse e, al contempo, realizzare qualcosa che permettesse a questi popoli lontani di essere più vicini tra loro, di scambiare non solo merci ma anche, forse soprattutto, cultura, quindi di crescere mantenendo ognuno le sue specificità.
Per me il progetto pià grande che l'Europa ha realizzato nel dopoguerra è la Comunità Europea, è l'abbattimento delle frontiere, è la moneta unica, quindi in definitiva è la libertà offerta ai popoli di avvicinarsi, di fondersi, una libertà data non solo ai popoli europei, ma anche a tutti quei popoli che desiderano entrare a far parte di questa grande comunità moderna e multietnica.
La scelta peggiore che un popolo possa fare è quella di chiudersi in se stesso, temere gli scambi con gli altri per paura di perdere la sua identità, di usare espressioni tipo ".....vengono a comandare a casa nostra....., oppure .......tornino a casa loro...... Questi popoli si convincono che gli altri sono nemici, soprattutto se sono di colore diverso o, peggio, di religione diversa. Non capiscono che tutti abbiamo qualcosa da imparare da qualcun altro e imparare significa crescere. Chiudersi nel proprio paesello, nella propria comunità che parla lo stesso dialetto, che ha lo stesso accento e mangia i piatti della stessa cucina locale, forse ci fa stare più tranquilli, ma non ci fa crescere, non ci fa conoscere e ci riporta nel Medio Evo al tempo dei Comuni e delle piccole comunità. Non dobbiamo però dimenticare che anche a causa di quel pensiero, di quella organizzazione sociale, l'Italia, unico paese in Europa, per quasi 1400 anni è stata dominata da popoli e paesi stranieri
martedì 31 luglio 2012
Ernesto Cardenal
La prima volta che sentii parlare di Ernesto Cardenal fu in un ufficio di Quito in Ecuador. Era il 1987. Su una parete dell'ufficio era appeso un piccolo manifesto dove era scritta la poesia che riporto nel seguito, firmata da Ernesto Cardenal. La trovai bellissima e mi emozionò moltissimo. Ne parlai con le persone dell'ufficio che, quando partii, me lo regalarono. Ora non trovo più quel piccolo manifesto, non so dove sia finito; forse l'ho perso in qualche trasloco di ufficio o di casa o di città. Però quella poesia e chi la scrisse mi sono rimasti nel cuore.
Ernesto Cardenal è un poeta, un sacerdote e un teologo Nicaraguense. Prima di tutto però fu un rivoluzionario, un sostenitore del popolo contro il regime dittatoriale di Somoza che per molti anni spadroneggiò sul Nicaragua e dopo di lui suo figlio. Cardenal fece parte delle truppe rivoluzionarie Sandiniste che nel 1979 entrarono in Managua e rovesciarono il regime di Anastasio Somoza Debayle.
Durante il governo Sandinista Cardenal fu nominato Ministro della Cultura, carica che dovette poi abbandonare per pressioni del Papa. La chiesa infatti appoggiò sempre i regimi dittatoriali e oppressivi in America Centrale e condannò quei preti come Cardenal o come Mons. Romero, poi ammazzato sull'altare mentre diceva messa, che, con vero spirito Cristiano, si schierarono con il popolo oppresso.
Nel 1983 Cardenal accolse all'aeroporto di Managua Papa Wojtyla e si inginocchiò davanti a lui in segno di obbedienza. Il papa lo rimproverò davanti a tutto il mondo.
AL PERDERTE YO A TI
Al perderte yo a ti
tu y yo hemos perdido:
yo porquè tu eras lo que yo
mas amaba
y tu porquè yo era lo que
te amaba mas.
Pero de nosotros dos
tu pierdas mas que yo:
porquè yo podrè amar a otras
como te amaba a ti
pero a ti no te amaràn como te amaba yo
Ernesto Cardenal è un poeta, un sacerdote e un teologo Nicaraguense. Prima di tutto però fu un rivoluzionario, un sostenitore del popolo contro il regime dittatoriale di Somoza che per molti anni spadroneggiò sul Nicaragua e dopo di lui suo figlio. Cardenal fece parte delle truppe rivoluzionarie Sandiniste che nel 1979 entrarono in Managua e rovesciarono il regime di Anastasio Somoza Debayle.
Durante il governo Sandinista Cardenal fu nominato Ministro della Cultura, carica che dovette poi abbandonare per pressioni del Papa. La chiesa infatti appoggiò sempre i regimi dittatoriali e oppressivi in America Centrale e condannò quei preti come Cardenal o come Mons. Romero, poi ammazzato sull'altare mentre diceva messa, che, con vero spirito Cristiano, si schierarono con il popolo oppresso.
Nel 1983 Cardenal accolse all'aeroporto di Managua Papa Wojtyla e si inginocchiò davanti a lui in segno di obbedienza. Il papa lo rimproverò davanti a tutto il mondo.
AL PERDERTE YO A TI
Al perderte yo a ti
tu y yo hemos perdido:
yo porquè tu eras lo que yo
mas amaba
y tu porquè yo era lo que
te amaba mas.
Pero de nosotros dos
tu pierdas mas que yo:
porquè yo podrè amar a otras
como te amaba a ti
pero a ti no te amaràn como te amaba yo
venerdì 13 aprile 2012
Il grande viaggio - La partenza
Il mio viaggio più grande è iniziato un freddo 30 novembre 1948, che in quell'anno cadde di martedi. Molti anni dopo venni a sapere che essere nato in quel giorno, a quell'ora e a quelle coordinate geografiche, 43° 9' N - 13° 44' E, significava far parte del segno zodiacale del sagittario con ascendente sagittario. E come poteva, un sagittario puro, non essere amante del viaggiare, come poteva non avere bramosia di conoscere luoghi, popoli, persone, culture, disseminati sul globo terraqueo?
Infatti non poteva, era, già alla nascita, un predestinato a viaggiare o a desiderare di farlo durante tutto il suo grande viaggio: il viaggio della vita.
Il primo vagito, il mio primo sguardo sul mondo, in quel momento molto limitato e incolore, lo diedi nell'ospedale civile di Fermo intitolato ad un grande medico, Augusto Murri.
Mia madre, Gemma, aveva 19 anni quando, dopo i dolori del parto, mi accolse per la prima volta tra le sue braccia.
La mia infanzia trascorse abbastanza tranquilla e serena nella casa di mio nonno Galizio, insieme a mio padre Bruto (detto Peppe), lui, il capo, cioè mio nonno e mia nonna Candida. Nonno e nonna erano i genitori di mio padre, o meglio, erano i genitori adottivi.
La casa dove vivevamo era sulla sommità di un colle, in piena campagna e molto panoramico. Dalla casa la vista spaziava dai monti sibillini, a sud/ovest, fino al mare, a est, che, nelle giornate più limpide, dipingeva di azzurro l'orizzonte in lontananza.
I ricordi che ho di quel periodo sono solo belli e sereni: i giochi solitari o con l'unico amichetto che avevo. Bastava poco per divertirsi: un cerchio di bicicletta da far correre lungo la strada di terra con una criniera di erbetta verde nel centro, guidato con una bacchetta di legno, ad esempio. Le marachelle, a volte veri e propri danni come distruggere una piccola piantagione di cipolle di mio nonno; ricordo che mi corse dietro a lungo per punirmi, senza riuscire a raggiungermi. Oppure quella volta che con Peppino, il mio amichetto, riempimmo il pozzo di un vicino di sterpi di granoturco. A volte i giochi si trsformavano in veri e propri drammi come quella volta che, sempre con Peppino, demmo fuoco al mucchio della paglia di un altro vicino... vennero anche i pompieri; per noi bambini fu una festa.
Quello era tutto il mio mondo, un piccolo mondo che mi permetteva comunque di viaggiare...con la fantasia. I colori, ecco cosa ha caratterizzato la mia infanzia, i colori; il verde della campagna, il giallo del grano maturo, il bianco dei ciliegi in fiore e il rosso delle ciliege mature, l'azzurro del mare a pochi chilometri eppure, per me, così lontano.
Ancora oggi a primavera, quando i campi con il grano verde appena germogliato ondeggiano al vento, quando in cielo nuovole nere si alternano ai raggi del sole mettendo in evidenza l'azzurro del mare ai piedi dei colli, mi rivedo ancora bambino che osservo lo stesso panorama dalla collina dove sorgeva la mia casa.
Spesso ci torno. La casa è diversa. La mia piccola casetta è stata sostituita da un grande palazzo. Tutto il resto è però rimasto inalterato, come se il tempo non fosse passato; compresa la strada per arrivarci è identica, di terra. Anche la chiesetta dedicata a Santo Stefano, quasi attaccata alla casa, è rimasta la stessa. Allora veniva aperta per la messa solo il giorno di Santo Stefano, il giorno dopo il Natale; ed era una festa.
Sono passati tanti anni; ho fatto un viaggio lungo da allora fino ai giorni nostri. Ho viaggiato per paesi lontani e vicini, attraverso momenti belli e felici e momenti pieni di dolore, ho attraversato laghi calmi e tranquilli e mari in tempesta, ho amato e sono stato amato, ho realizzato cose di cui sono orgoglioso e altre meno, ho fatto diventare realtà molti sogni mentre altri sono rimasti incompiuti. Ho attraversato e sto ancora attraversando la vita aggiustando giorno per giorno l'itinerario, modificandolo e adattandolo ai miei interessi, alle mie esigenze, alle mie possibilità. A volte di fronte ad un bivio, da un lato la strada facile e dall'altro una più tortuosa e difficile, scelgo il percorso più lungo e con più ostacoli. Poi, nei momenti di stanchezza, magari mi domando perchè ho fatto questa scelta, perchè non ho preso la via più facile e riposante. Non so darmi una risposta. Forse per allungare il mio viaggio e allontanare la meta.
Infatti non poteva, era, già alla nascita, un predestinato a viaggiare o a desiderare di farlo durante tutto il suo grande viaggio: il viaggio della vita.
Il primo vagito, il mio primo sguardo sul mondo, in quel momento molto limitato e incolore, lo diedi nell'ospedale civile di Fermo intitolato ad un grande medico, Augusto Murri.
Mia madre, Gemma, aveva 19 anni quando, dopo i dolori del parto, mi accolse per la prima volta tra le sue braccia.
La mia infanzia trascorse abbastanza tranquilla e serena nella casa di mio nonno Galizio, insieme a mio padre Bruto (detto Peppe), lui, il capo, cioè mio nonno e mia nonna Candida. Nonno e nonna erano i genitori di mio padre, o meglio, erano i genitori adottivi.
La casa dove vivevamo era sulla sommità di un colle, in piena campagna e molto panoramico. Dalla casa la vista spaziava dai monti sibillini, a sud/ovest, fino al mare, a est, che, nelle giornate più limpide, dipingeva di azzurro l'orizzonte in lontananza.
I ricordi che ho di quel periodo sono solo belli e sereni: i giochi solitari o con l'unico amichetto che avevo. Bastava poco per divertirsi: un cerchio di bicicletta da far correre lungo la strada di terra con una criniera di erbetta verde nel centro, guidato con una bacchetta di legno, ad esempio. Le marachelle, a volte veri e propri danni come distruggere una piccola piantagione di cipolle di mio nonno; ricordo che mi corse dietro a lungo per punirmi, senza riuscire a raggiungermi. Oppure quella volta che con Peppino, il mio amichetto, riempimmo il pozzo di un vicino di sterpi di granoturco. A volte i giochi si trsformavano in veri e propri drammi come quella volta che, sempre con Peppino, demmo fuoco al mucchio della paglia di un altro vicino... vennero anche i pompieri; per noi bambini fu una festa.
Quello era tutto il mio mondo, un piccolo mondo che mi permetteva comunque di viaggiare...con la fantasia. I colori, ecco cosa ha caratterizzato la mia infanzia, i colori; il verde della campagna, il giallo del grano maturo, il bianco dei ciliegi in fiore e il rosso delle ciliege mature, l'azzurro del mare a pochi chilometri eppure, per me, così lontano.
Ancora oggi a primavera, quando i campi con il grano verde appena germogliato ondeggiano al vento, quando in cielo nuovole nere si alternano ai raggi del sole mettendo in evidenza l'azzurro del mare ai piedi dei colli, mi rivedo ancora bambino che osservo lo stesso panorama dalla collina dove sorgeva la mia casa.
Spesso ci torno. La casa è diversa. La mia piccola casetta è stata sostituita da un grande palazzo. Tutto il resto è però rimasto inalterato, come se il tempo non fosse passato; compresa la strada per arrivarci è identica, di terra. Anche la chiesetta dedicata a Santo Stefano, quasi attaccata alla casa, è rimasta la stessa. Allora veniva aperta per la messa solo il giorno di Santo Stefano, il giorno dopo il Natale; ed era una festa.
Sono passati tanti anni; ho fatto un viaggio lungo da allora fino ai giorni nostri. Ho viaggiato per paesi lontani e vicini, attraverso momenti belli e felici e momenti pieni di dolore, ho attraversato laghi calmi e tranquilli e mari in tempesta, ho amato e sono stato amato, ho realizzato cose di cui sono orgoglioso e altre meno, ho fatto diventare realtà molti sogni mentre altri sono rimasti incompiuti. Ho attraversato e sto ancora attraversando la vita aggiustando giorno per giorno l'itinerario, modificandolo e adattandolo ai miei interessi, alle mie esigenze, alle mie possibilità. A volte di fronte ad un bivio, da un lato la strada facile e dall'altro una più tortuosa e difficile, scelgo il percorso più lungo e con più ostacoli. Poi, nei momenti di stanchezza, magari mi domando perchè ho fatto questa scelta, perchè non ho preso la via più facile e riposante. Non so darmi una risposta. Forse per allungare il mio viaggio e allontanare la meta.
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